ItaliaOggi, 2 settembre 2020
Storia dell’oceano Atlantico
Un tempo le Colonne d’Ercole sbarravano la strada dell’Ovest anche ai più coraggiosi: onde alte come montagne, leviatani, gorgoni e giganti, un orizzonte curvo sull’infinito, «Cimmeri, Etiopi e Pigmei», orrori inimmaginabili, divinità offese. Oggi la strada per il nuovo mondo, al di là del grande oceano, provoca al più occhiate impazienti all’orologio, o al display dello smartphone, da parte di viaggiatori impazienti d’arrivare a New York oppure a Shanghai per un incontro d’affari.Autore di grandi libri – dal Fiume al centro del mondo (la storia dello Yangtze dal Tibet a Shanghai attraverso la Cina profonda, Neri Pozza 2006) alla Mappa che cambiò il mondo (la biografia di William Smith, il creatore della prima mappa geologica, Guanda 2001) – Simon Winchester è uno dei rari storici moderni a sapere che la storia, qualunque cosa ne sia stata detta nei due interminabili secoli della superstizione storicista, è soltanto una manifestazione minore della geografia e che, mentre la storia non può fare a meno della geografia, la geografia se la cava benissimo anche senza la storia.
È per questo che Atlantico, apparso da Adelphi nel 2013, comincia prima dell’apparizione dell’uomo, quando l’oceano che separa l’Europa dalle Americhe non ha ancora un nome, quando le sue tempeste non mettono in ansia nessuno e il tempo scorre tumultuoso e schiumante a grandi mareggiate di milioni d’anni (mentre oggi, osservato dal ponte delle navi o dall’oblò dei 747, il tempo arranca a fatica da una festa di Capodanno all’altra).
Winchester racconta la preistoria dell’Atlantico e illustra tutte le ipotesi, comprese le più sinistre, circa il destino dei mari il giorno in cui resteranno di nuovo senza nome e gli umani (il più tardi possibile) avranno tolto l’incomodo.
Ma Atlantico, naturalmente, è anche un libro sugli uomini che hanno sfidato le acque ruggenti dell’oceano. Come in un recente libro di David Abulafia, Il grande mare, Mondadori 2017, dove si racconta la storia del Mediterraneo, e come in un altro straordinario libro di geografia, La storia del mondo in dodici mappe del rinascimentalista Jerry Brotton, Feltrinelli 2017, anche le pagine di Winchester sono popolate di guerrieri e di pirati, di continenti perduti, di popoli decisi a spingersi sempre più lontano, d’aneddoti rubati al folklore e alla letteratura, di meraviglie tecnologiche, d’orrori sociali, d’esploratori e cartografi, di possenti navi mercantili, di re e imperatori, d’iceberg alla deriva, di sommergibili, di flotte militari, di caravelle portoghesi, d’ammiragli genovesi e di navi vichinghe.
Ma in Atlantico l’elemento storico, cioè l’elemento umano, è meno importante che in qualunque altra storia del mare. Nell’appassionante libro di Winchester l’Atlantico appare come Okeanòs nei poemi omerici: non un ponte da traversare ma un mondo da esplorare. Un mondo sconfinato, remoto, abissale, «terrificante e invalicabile», luogo d’«origine degli dèi e di tutto ciò che esiste».
«L’oceano appare eterno, immenso» scrive Winchester. «Richiamare alla mente l’incalcolabile vastità dell’Atlantico non è un esercizio futile. I grandi mari sono così grandi che dopo un solo momento di contemplazione di questo oceano si capisce come qualcuno – in questo caso [Arthur C. Clarke [inventore e scrittore di fantascienza, sceneggiatore con Stanley Kubrik di 2001: Odissea nello spazio] uno che d’immensità ne sapeva qualcosa – abbia potuto osservare “quanto sia inappropriato chiamare questo pianeta Terra, quando chiaramente è Mare”».