Corriere della Sera, 2 settembre 2020
I 15 anni di Cairo al Torino
Non sei mai vaccinato per le emozioni, ripete Urbano Cairo, anche dopo 15 anni passati alla guida del Toro, preso dal fallimento il 2 settembre 2005 e riportato in serie A. È stato un racconto di vittorie e sconfitte, di intuizioni e delusioni, di maglie da conservare e facce da ricordare, insomma, di «tante emozioni», la parola che il presidente granata sceglie come etichetta dell’avventura. «Sei lì per cercare di ottenere un risultato – racconta – per questo c’è sempre un’emozione». Fin dall’incipit: «Partimmo senza palloni, con la necessità di fare la squadra in sette giorni e la curiosità di vedere come sarebbe andata». Primi capitoli, romanzeschi: «La partita con l’Albino Leffe, con 30 mila persone, quando feci un giro di campo per salutare i tifosi: fu davvero speciale». Compreso l’epilogo: «Finalissima al Delle Alpi, davanti a 60 mila spettatori, emozioni incredibili». Ce ne furono di meno positive: «Due campionati di A, senza infamia e senza lode, poi quello in cui retrocedemmo». Morale: «Si impara a fare il presidente».
Apprendendo, anche per osmosi. «Ventura mi ha trasmesso molto: considerare prima la squadra dei singoli, andare a prendere i giovani e concedere tempo agli allenatori. Non si costruisce tutto in dieci giorni». Pausa: «Vale anche per Giampaolo». Non vede l’ora di ripartire, Cairo, pure dopo 15 anni: «Con un nuovo ciclo, scegliendo un direttore sportivo giovane ma già esperto, e un tecnico che ha un’idea precisa di calcio. Ho rotto gli indugi». Come nelle biografie di Napoleone, che il presidente ha letto e riletto. Frase manifesto: «Ci si impegna e poi si vede». Senza stare a pensarci troppo, a volte: «Un po’ quello che feci pure io, quando presi il Toro: se avessi dovuto guardare le cose razionalmente, chissà». Fu anche questione di affinità umane: «I miei erano tifosi del Toro, e mia mamma in particolare, una donna molto prudente, che però mai mi disse: “ma cosa fai?”. Vedevo coinvolto anche mio papà, in un periodo in cui aveva problemi di salute». La decisione venne di conseguenza: «Tutto ciò mi diede una spinta».
Questa è anche una storia di volti e di voci, a partire da Sergio Chiamparino, il sindaco (tifoso) che lo battezzò presidente del Toro: «Recentemente non ci siamo sentiti, ma ogni tanto leggo sue dichiarazione bonarie, capisce che ci possono essere dei problemi. C’è sempre stata una bella sintonia». Sono pagine piene di giocatori, ovviamente, non necessariamente da Hall of Fame: «Un ragazzo che ho apprezzato negli anni fu Oscar Brevi, il capitano della promozione. Dedizione e determinazione». Il talento è importante, ma poi ci vuole anche altro, «la voglia di non mollare mai, quella da Toro, che lui trasmise ai compagni». Tra i cimeli, invece, ci sono maglie – «la prima di Darmian in Nazionale, fu un pensiero molto carino» – e vestiti, anche: «Conservo quello che mettevo l’anno della promozione». La scaramanzia è pur sempre la religione del pallone: «Magari ti metti un abito, o una cravatta, e se va bene tendi a fare la stessa cosa. Come il posto dove fermarsi a prendere il caffé, prima della partita». Poi ci sono le telefonate, un terno al lotto: «Se mi chiama uno, vinciamo, un altro ha invece l’effetto contrario». Da bloccare sullo smartphone: «Eh, non posso, è un amico», sorride.
Dopo 15 anni vuoi non avere l’album dei ricordi? «La vittoria per la A e quella nel derby, il San Mames. Poi quella partita che giocammo a Bergamo, 5-1 all’Atalanta, il week-end che era mancata mia mamma; e la prima pietra del Filadelfia». Certo, ci sono anche gli striscioni dei tifosi e le bacchettate della critica: «Alcuni giudizi mi paiono un po’ esagerati». Basta spolverare la memoria, prima che prendesse il Toro: «Sei volte in A e sei in B, cinque presidenti». La scintilla è sempre quella, da Walt Disney: «Se puoi sognarlo, puoi farlo». Motto di cui Cairo ha da tempo un suo adattamento: «Nulla accade se non l’hai sognato prima». Ovvero: «Tutti i risultati importanti non li ottieni, se non li hai lungamente pensati e meditati». Non rinuncia ai sogni: «Con l’animo di fare qualcosa di importante». E l’idea di Giampaolo: «Visto che i nostri tifosi, oltre al tremendismo hanno il palato fino, per il Toro anni Settanta e Ottanta, ecco un allenatore che ha l’obiettivo di inseguire la bellezza del gioco». Insomma, un’emozione.