Corriere della Sera, 2 settembre 2020
L’India muove le sue pedine
Quello che, secondo le Nazioni Unite, dal 2027 sarà il Paese più popoloso del pianeta, l’India, si sta muovendo, riluttante ma inesorabilmente, per prendere un posto più rilevante nello scacchiere asiatico e nel mondo. Sono 73 anni che i britannici hanno lasciato la loro più prestigiosa e ricca colonia: quel 15 agosto del 1947, o forse meglio quella mezzanotte, i figli del subcontinente nacquero a una nuova, non facile ma indipendente vita. Oggi sono davanti a una curva della storia che ha spinto il Paese al centro del grande scontro geopolitico che segnerà il futuro del mondo. Non è solo la pandemia – che ha ormai contagiato quasi tre milioni e mezzo di indiani e provocato più di 60 mila morti ufficiali – a mettere sotto pressione il governo di Narendra Modi. È la dinamica del Grande Gioco del Ventunesimo Secolo che si combatte negli oceani Pacifico e Indiano.
I semi delle tensioni che attraversano quasi tutti i Paesi dell’Asia erano già presenti prima del coronavirus. La pandemia ha accelerato le tensioni, ha acceso un faro sulla Cina in quanto origine e responsabile della crisi globale e ha provocato la reazione assertiva di Pechino in patria e in Asia: Hong Kong, le tensioni su Taiwan, la repressione degli uiguri nello Xinjiang, la militarizzazione spinta del Mare Cinese Meridionale e lo scontro di confine con l’India nella regione himalaiana. Tutto sostenuto dalla retorica sempre più dura contro ogni Paese che osi criticare il governo cinese. La crisi da Covid-19 ha, in altri termini, rafforzato l’assertività di Pechino, la quale si sente ingiustamente accusata e si rende conto di avere, tra i propri vicini, ben pochi amici: clienti sì, ed esempio il Pakistan, il Myanmar, la Cambogia; ma non amici, nessun Paese si sente sicuro nel rapporto con il gigante, anzi molti sono timorosi del suo potere più di sei mesi fa.
In questo quadro, l’India, che è storicamente un avversario di Pechino ma negli scorsi decenni ha tenuto un profilo basso e comunque da potenza indipendente e non schierata, si sente trascinata in uno scacchiere in grande movimento dal quale non può stare fuori. Soprattutto dopo gli scontri tra soldati indiani e cinesi, i più violenti dal 45 anni, nel Ladakh lo scorso giugno. Modi non vuole lo scontro armato. Ha però capito che i tempi sono cambiati e che stare alla finestra per Delhi significherebbe indebolirsi rispetto a Pechino, anche perché attraverso la Belt and Road Initiative (la cosiddetta Nuova Via della Seta) la Cina sta conquistando porti e basi nell’Oceano Indiano: in Pakistan, nel Myanmar, nello Sri Lanka fino a Gibuti. La possibile egemonia cinese nel Pacifico se gli americani si ritirassero oggi raddoppia con la possibile egemonia di Pechino anche nell’Oceano Indiano. Sottovalutare la nuova situazione costerebbe a Modi moltissimo, anche in casa: se Pechino è più assertiva, anche Delhi lo deve essere.
Il governo indiano sta dunque reagendo. In economia si distanzia dalla Cina, sulla stessa traiettoria degli Stati Uniti di Donald Trump: ha bandito 59 applicazioni web cinesi e sta introducendo regole per fermare la penetrazione in India dei colossi Huawei e Zte. Sul versante strategico, il primo ministro indiano sembra avere abbandonato la reticenza storica di Delhi a formare strette collaborazioni diplomatiche e militari, ha rapporti sempre più stretti con il Giappone e con l’Australia. Con i due Paesi e con gli Stati Uniti ha intensificato la collaborazione nel cosiddetto Quad, un forum informale su questioni di sicurezza e militari. In più, sta sviluppando offensive diplomatiche nei Paesi asiatici, dalla Corea del Sud allo Sri Lanka, e ha rapporti sempre più stretti con Washington, collabora attivamente con la Francia di Emmanuel Macron.
Grandi problemi, insomma, per l’India, che si aggiungono a quelli dell’economia, la quale vive la contraddizione di essere in forte recessione ma allo stesso tempo di essere troppo importante per venire trascurata dalle multinazionali: dall’inizio del lockdown in marzo, ha attratto più di 30 miliardi d’investimenti da grandi gruppi, tra i quali Facebook e il fondo Kkr. Per amore o per forza, Delhi è deve muovere le sue pedine nel nuovo, Grande Gioco dell’Indo-Pacifico.