la Repubblica, 2 settembre 2020
Il record di visitatori di Raffaello
Non si aspettavano di trovarsela davanti così, la bellezza struggente della Velata, della Fornarina, della Santa Cecilia. Non si aspettavano di incontrarle avanzando in piccoli gruppi disciplinati e dotati di mascherina, l’ingresso e l’uscita da ogni sala contingentato dal suono del gong, quasi una processione laica più che una visita museale. Eppure gli appassionati d’arte, senza farsi scoraggiare dalle nuove modalità di visita dell’era Covid, hanno fatto registrare il tutto esaurito a Raffaello 1520 – 1483: oltre 162 mila ingressi.
La grande mostra, curata da Marzia Faietti con il direttore delle Scuderie del Quirinale Matteo Lanfranconi per celebrare il cinquecentenario della morte dell’artista, ha riunito a Roma oltre 200 opere, con prestiti italiani (centrale la collaborazione con gli Uffizi) e internazionali, dalla collezione della regina Elisabetta alla National Gallery di Washington. Ma il lockdown scattato a inizio marzo, a pochi giorni dall’inaugurazione, ha costretto le Scuderie a chiudere i battenti, coprire con i drappi scuri le opere e tentare la carta di una riapertura estiva in condizioni inedite. La mostra è tornata visitabile il 2 giugno, data inizialmente prevista per la chiusura, e si è conclusa il 30 agosto, con orari allungati (nei weekend fino all’una di notte per tutto il periodo) e una straordinaria apertura non stop durante l’ultimo fine settimana. E, mentre si può gioire del fatto che nonostante tutto un vasto pubblico l’abbia potuta visitare, a porte chiuse la vicenda di Raffaello 1520 – 1483 (il percorso partiva dalla data della morte) serve come case study per cercare di capire come, ai tempi del coronavirus, siano necessari nuovi modelli per l’ideazione delle mostre. Il cambio di paradigma investe tutto: previsione dei ricavi e della percentuale di autofinanziamento da biglietteria (per Raffaello si erano ipotizzati, in condizioni di accesso pre-Covid, 450 mila visitatori); sistema dei prestiti; organizzazione del personale. Parte proprio da questo, dal «grande lavoro di squadra», la riflessione del presidente delle Scuderie Mario De Simoni: «Abbiamo considerato un dovere civile far sì che un pubblico più vasto possibile potesse vedere le opere in sicurezza. Così abbiamo ideato una modalità nuova: i custodi di sala sono diventati gli accompagnatori di ogni gruppo di visitatori, assicurando il distanziamento e il rispetto del tempo di permanenza in ogni sala, scandito da un segnale sonoro». Un modo di vedere l’arte nuovo, forse un po’ militaresco, ma non più superficiale: «la vendita dei cataloghi, con una ratio di uno ogni ventiquattro visitatori, è il segnale di un bisogno di approfondimento molto forte».
Ora, archiviato Raffaello, considerando che i bilanci di Ales, la società che gestisce Scuderie, restano nonostante gli ultimi mesi «solidi» e che il Mibact «sostiene adeguatamente i progetti», è necessario guardare al prossimo futuro. Senza mettere in discussione che Scuderie resti, per De Simoni, «la grande vetrina del sistema museale italiano», serve immaginare tutto su un’altra scala. Cercare un difficile equilibrio tra progetti motivati e di appeal, forse rinunciando per un po’ di tempo a far girare il sistema anche sui grandi prestiti dall’estero. «D’altro canto il nostro patrimonio è talmente vasto che immaginare delle mostre per così dire a sineddoche non è impossibile».
Il punto fermo resta il «diritto democratico» a vedere l’arte dal vivo di un pubblico di visitatori più alto possibile. Un diritto che il successo delle iniziative virtuali messe in atto durante la chiusura di Raffaello 1520 – 1483 attraverso i canali social, non può mettere in discussione: «la popolarità delle proposte che abbiamo lanciato in rete, sperimentando come tutti, ci parla del bisogno che le persone hanno dell’arte anche, e forse soprattutto, in tempi difficili». Less is more, si usa dire ora. Ma senza rinunciare all’emozione, seppur contingentata, di trovarsi di fronte a un capolavoro.