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 2020  settembre 01 Martedì calendario

Daria Bignardi ricorda il primo Grande Fratello

Tra due settimane, vent’anni esatti dal Grande Fratello in Italia. Canale 5, Giorgio Gori (attuale sindaco a Bergamo) al comando delle operazioni, con Ilaria Dallatana. Capo della comunicazione, Fabrizio Rondolino – ex collaboratore di D’Alema capo del Governo. Uno dei concorrenti di allora, Rocco Casalino, ha vent’anni dopo lo stesso ruolo, ma senza D’Alema: quando si dice la tv e le istituzioni. Il GF sbarcava da noi ed era un fenomeno già esteso, quando si chiedeva ai produttori (Endemol) il perché di quello che stava accadendo la risposta era: in tutto il mondo è così.
In conduzione, venne chiamata Daria Bignardi, fino a quel momento volto-simbolo di una tv di tutt’altro genere, con velleità opposte. Oggi Bignardi non ha un’aria particolarmente travolta dalla ricorrenza e gli impegni non le mancano: sta preparando la nuova stagione de L’assedio sul Canale Nove (dal 21 ottobre), dal 21 settembre condurrà un programma quotidiano nella mattina di Radio Capital e inoltre, non ultimo, il 10 novembre esce per Mondadori il suo settimo romanzo. Ma sul tema GF, come allora, non cede di un millimetro.
Il GF è stato uno snodo importante che ha colto dei cambiamenti in arrivo - o li ha indirizzati - oppure, più semplicemente, è l’invenzione più forte della storia della tv?
«Forse vent’anni fa il GF segnò un passaggio tra una tv pettinata - e in qualche caso ingessata - e una più spettinata, più vicina alla realtà in tutti i suoi aspetti, anche quelli discutibili, imbarazzanti o noiosi: qualcosa che somigliava di più alla vita vera. La tivù degli anni 60 e 70 che rivedo a Techetechetè mi sembra bellissima, curata e piena di idee mentre negli anni 80 e 90, soprattutto nell’intrattenimento, era diventata più pigra e prevedibile».
Quel salto, da parte sua, lasciò sbalorditi tutti.
«Nessuno di noi - da Gori a Dallatana a me meno di tutti - immaginava cosa sarebbe successo. Sapevamo che in Spagna il GF era andato molto bene. Io venivo dal primo programma che ho scritto, Tempi Moderni, che raccontava i cambiamenti del costume: credo che Gori volesse una giornalista perché così era stato in Spagna. Io non avevo nemmeno capito bene cosa fosse. Chiesi di conoscere i ragazzi prima che entrassero nella Casa: li incontrai uno dopo l’altro nel residence di via Madonna dei Monti dove abitavo le due sere la settimana che passavo a Roma. Mi colpì Pietro Taricone: vulcanico, magnetico, molto affettuoso».
In tanti si indignavano sostenendo che fosse tutto costruito. E non badavano alla squadriglia di autori, dichiarata.
«Gli autori c’erano ma non scrivevano quello che i ragazzi dicevano e facevano, governavano solo i meccanismi del formato. Le polemiche immagino fossero il segno - più che la causa - del successo».
Se uno usa come slogan "la tv è peggiorata per sempre dopo il GF", gli risponde in maniera puntuale o si alza e se ne va?
«Dipende da chi lo dice e da come lo dice».
Così è facile.
«Io non ero tra gli autori, quindi le critiche non mi dispiacciono come se le facessero a programmi miei. Di certo non mi aspettavo tutta quella popolarità. Qualcuno scrisse che funzionavo in quel ruolo perché riuscivo a raffreddare una materia incandescente. La tv forse è così: bisogna scaldare le cose fredde e raffreddare quelle calde».
Riproviamo così: senza il GF e soprattutto senza il suo successo, la tv degli anni a venire sarebbe stata migliore, peggiore o uguale? Cioè, il gioco futuro era scritto e irreversibile?
«La tv sarebbe stata uguale, né migliore né peggiore».
Cosa resta da inventare in tv?
«Non lo so proprio».
Si sono fatti reality o para-reality provando a evolverli, o qualcosa del genere. Su letteratura, fotografia e cose simili. Non funzionano in quanto?
«Perché è la sporcatura che buca il tessuto della scrittura televisiva a provocare un’emozione. Il fattore umano, reale. E meno elaborato è, meglio è. Con la musica ha funzionato, se pensi ad Amici, X Factor, The Voice».
Giorgio Gori?
«Un bravissimo direttore di Rete e penso anche un bravissimo sindaco».
Fabrizio Rondolino?
«L’ho incontrato solo ai tempi del GF e poi l’ho perso di vista ma quando ho diretto Rai 3 ho lavorato con sua moglie Simona Ercolani, una produttrice piena di entusiasmi».
Il nome fatale. Rocco Casalino. Proviamo a trovare un senso.
«Bella carriera, no? Nella Casa era amico di Pietro Taricone e di Marina La Rosa: una persona particolarmente intelligente ma difficile da interpretare, più autore che personaggio».
Bella carriera è un eufemismo ironico e va benissimo. Il suo ruolo attuale è da classificarsi come uno dei molti accidenti sarcastici, o serissimi, della storia? Oppure quando lo definisce "più autore" dobbiamo concluderne che il GF, insieme a molto altro, ha anche reso ufficiale uno scompaginamento definitivo di ruoli, talenti, funzioni?
«Intendo dire che non era un personaggio così marcato e definibile come Pietro o altri della casa: aveva un’energia più riflessiva, meno spontanea. Non riesco a dare tutta questa importanza di evento con un prima e un dopo irreversibile al Grande Fratello. Capisco che da un punto di vista narrativo sia interessante farlo, ma mi sembra che i grandi cambiamenti arrivino spesso per caso e siano provocati da un complesso di cose: mai da nulla di prestabilito o prevedibile».