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 2020  agosto 31 Lunedì calendario

Il dollaro è debole ma resta la moneta del mondo

Qualche analista osserva che da qui ai prossimi due mesi il dollaro potrebbe rafforzarsi per fattori “tecnici” e passare per qualche mese da quota 1,19 degli ultimi giorni diciamo a quota 1,15. Possibile, ma il termine decisivo in questo caso è “fattori tecnici": la tendenza di medio termine del dollaro resta al ribasso. Cosa che in un contesto rivoluzionario da post Covid-19 ha dato sfogo a uno scenario ricorrente dagli anni Settanta quando, dopo lo sganciamento dalla parità con l’oro voluta da Nixon nel 1971, si cominciò a immaginare la fine del dollaro come valuta di riferimento internazionale, come riserva e come strumento principe per regolare i pagamenti internazionali. Cinquant’anni dopo il dollaro continua a regnare indiscusso e immaginare che possa esserci un sostituto è quantomeno prematuro. Anche per questo Jerome Powell, presidente della Fed, ha annunciato la svolta di Jackson Hole: l’inflazione diventa obiettivo secondario rispetto al lavoro, il che dovrebbe accentuare l’indebolimento del dollaro nel medo termine. Annotiamolo: se ci fossero stati timori per una continuità del ruolo centrale del dollaro, Powell sarebbe stato più prudente. C’è da dire che periodi rivoluzionari come quello che stiamo vivendo possono improvvisamente accelerare cambiamenti in gestazione da tempo. I tre più importanti sono la crescita della Cina come potenza alternativa all’America; la decisione bipartisan di usare il dollaro come arma politica per riequilibrare i forti disavanzi commerciali americani, ma anche per imporre sanzioni in ritorsione a differenze politiche insanabili; la decisione dell’America di rompere gli argini del rigore fiscale/inflazione aumentando esponenzialmente sia il debito che la massa di danaro in circolazione. Il cambiamento economico-geopolitico è evidente. L’America che appena 30 anni fa con la caduta dell’impero sovietico era unica potenza egemone, oggi è costretta a condividere lo scenario politico con Russia e Cina. Il fenomeno si è accelerato con l’ingresso di Donald Trump alla Casa Bianca. Se Trump sarà confermato, continuerà il ridimensionamento dall’impianto multilaterale che l’America stessa ha costruito dopo la seconda guerra mondiale. Sappiamo che alle potenze egemoni si accompagna un ruolo chiave della loro valuta. Pensiamo alla sterlina durante il dominio dell’impero britannico. Con Biden ci sarà un recupero del multilateralismo con l’America al centro dell’equazione, ma sia Russia che Cina non faranno marcia indietro. E se la Russia non è potenza economica, la Cina in Africa o Sud America ha già imposto l’uso della sua valuta come riferimento quanto meno bilaterale. A ciò si accompagna l’uso del dollaro come arma. La facilità con cui le autorità americane hanno congelato conti correnti di Paesi africani o di oligarchi russi ha consigliato di diversificare i “risparmi” su altri “asset” e altri Paesi. Più importante è l’arma “dollaro debole” per recuperare competitività soprattutto nel settore manifatturiero americano (la decisione di Powell va letta anche in questa chiave) su cui non obietteranno né Trump né Biden. 

La crisi di oggi ha natura esterna
C’è da dire che il fenomeno geopolitico e quello del dollaro-arma erano già evidenti anni fa e non hanno impedito alla valuta americana di rafforzarsi. Questo perché sono le dinamiche macroeconomiche e quelle finanziarie recenti a fare la parte del leone sul dollaro, e in questo caso sul suo indebolimento. Chi si preoccupa di un rapporto a quota 1,19 (ovvio che le esportazioni europee soffriranno) dimentica che non più tardi di una decina di anni fa, nel 2008, il dollaro aveva toccato minimi contro l’euro a quota 1,47. Quelli erano gli anni della crisi subprime. L’America si trovò rapidamente in recessione. Fallì Lehman Brothers e si entrò in una crisi sistemica da cui si uscì con un piano per massicci interventi fiscali e monetari. E in pochi anni il rapporto dollaro euro tornò a equilibrio più “normale”. La crisi di oggi non ha natura sistemica. È una crisi esterna. E le reazioni per ora sono a breve. Un esempio: con la ripresa del Covid in molti Stati americani, l’economia in alcune regioni è tornata a rallentare mentre in Paesi asiatici e molti europei per ora sembra procedere a un passo più lesto. Questo indebolisce il dollaro. Poi il mercato sta già scontando il secondo pacchetto di stimoli per rilanciare l’economia per un totale, insieme al primo, di quasi 4 trilioni di dollari. Aggiungiamo a questi i circa 5 trilioni che la Fed ha riversato sul mercato con vari strumenti e la combinazione dei due fattori si traduce in un termine sconosciuto da un decennio a questa parte: inflazione. In Europa gli interventi della Bce sono stati importanti, ma lo stimolo fiscale approvato è pari a circa un quinto di quello americano. Per questo, per l’enorme balzo del rapporto debito-Pil e con tassi di interesse vicini allo zero per anni a venire, il mercato si trova d’accordo sul fatto che il trend di fondo della valuta americana resterà al ribasso. Un andamento influenzato da fattori macro tradizionaliPotranno esserci, come dicevamo, fattori tecnici: se non si troverà presto un vaccino e se dovesse esserci una seconda ondata di contagi in Europa, il dollaro si rafforzerà. Altrimenti le massicce operazioni di stimolo adottate in America consentiranno tassi di crescita molto forti, la Borsa americana continuerà la sua ascesa e farà da polo di attrazione per gli investitori internazionali e da contrappeso per l’indebolimento della valuta americana.Tutto questo per dire che per ora l’andamento del dollaro continuerà a essere influenzato da fattori macro tradizionali com’è sempre stato, e anche se ci fosse un forte indebolimento per metà dell’anno prossimo (1,40?) non significherà necessariamente la fine del dollaro come valuta di riferimento. Con un’osservazione finale: economisti del calibro di Nouriel Roubini o investitori come Mohamed El-Erian, che hanno scritto recentemente sulla continuità del ruolo sistemico della valuta americana, hanno detto di non vedere un candidato alternativo: la valuta cinese è forte ma è rappresentativa di un Paese autoritario. Le criptovalute: in un’economia digitale la neutralità delle valute digitali avrà una sua attrattiva. Nessuno però considera l’euro: resta la percezione di una valuta temporanea e vulnerabile a fratture improvvise. È un errore. La decisione di approvare un pacchetto di finanziamenti europei è un passo in avanti importante verso un rafforzamento dell’Unione fiscale prevista anche dagli accordi di Los Cabos del 2012. Chissà che non se ne accorgano anche Bruxelles e i Paesi Nordici.