La Lettura, 30 agosto 2020
Il millennio dell’immunità
Sono, utilizzando termini galileiani, i due «massimi sistemi» presenti nel nostro organismo: il sistema nervoso centrale, alla base della mente, e il sistema immunitario, che ci difende dalle aggressioni di virus e batteri e dalle malattie. E sono fra loro comparabili dal punto di vista del peso, del numero di cellule e di connessioni e, infine, delle parole-chiave che ne caratterizzano natura e comportamento. Riconoscere sé stessi da ciò che è diverso, comunicare e ricordare sono infatti le parole fondamentali sia dell’immunità sia della mente.
Possiamo pensare al sistema immunitario come a una straordinaria orchestra – dal suo buon funzionamento dipende l’armonia con il mondo microbico interno ed esterno – o a un esercito perennemente in guerra, che utilizza strategie e armi differenti per combattere nemici diversi: da virus invisibili, come il coronavirus responsabile di Covid-19, a grandi parassiti come i vermi intestinali. Personalmente mi stupisco sempre del fatto che, ancora, dell’orchestra immunologica non conosciamo tutti i componenti, gli strumenti utilizzati e l’intero repertorio. Gli approcci di bioinformatica e intelligenza artificiale ci stanno aiutando ad approfondire le conoscenze, analizzando la complessità del sistema immunitario, ridisegnandone la mappa e definendone il ruolo nelle diverse malattie.
Negli ultimi anni si è affermato un cambiamento di visione (o paradigma) in medicina. Da tempo sappiamo che una risposta immunitaria fuori controllo, che si manifesta come infiammazione, è alla base delle malattie autoimmuni. Ora è largamente accettato – e cristallizzato ad esempio in una pubblicazione recente su «Nature Medicine» di cui sono co-autore – che immunità e infiammazione, ovvero il nostro «fuoco interiore», costituiscono una metanarrazione dell’intera medicina contemporanea. La componente infiammatoria è infatti fondamentale in malattie diverse: dalle cardiovascolari alle neurodegenerative, dal cancro alle patologie infettive, come ci ha ricordato in modo drammatico Covid-19. Alla radice di questa metanarrazione, il progresso nell’analisi e nella comprensione dei meccanismi immunologici: un percorso dal laboratorio al letto del paziente, caratterizzato da sfide, sogni, fallimenti, successi. Come evidenziano, fra i tanti possibili esempi, cancro e Covid-19.
All’inizio del secolo scorso i padri della medicina come Paul Ehrlich vedevano l’immunologia – in particolare i vaccini e la sieroterapia – cambiare il mondo, contribuendo al miracolo dell’aumento dell’aspettativa di vita: da 40 anni (come era stato per circa 200 mila anni) a oltre 80, almeno nei Paesi occidentali come il nostro. Questi stessi grandi padri sognavano di usare le armi dell’immunità contro il cancro: una sfida che, per circa cent’anni, è stata costellata da fallimenti.
All’inizio del nuovo millennio, tuttavia, un decisivo cambiamento di paradigma e l’identificazione delle molecole che regolano la risposta immunitaria ha aperto la strada a strategie immunologiche di cura dei tumori. Si è affermata la visione che il cancro non è solo la cellula tumorale in sé, ma anche la nicchia ecologica in cui la cellula tumorale prospera: in gergo il microambiente, di cui fanno parte le difese immunologiche, veri e propri poliziotti «corrotti» o addormentati dal nemico. In parallelo, sono stati identificati alcuni freni molecolari del sistema immunitario, la cui rimozione ha cambiato la storia naturale di tumori prima incurabili, come il melanoma.
Siamo così entrati in un continente nuovo, quello dell’immunoterapia, ricco di promesse, sogni e – di nuovo – sfide. Fra queste, quella costituita da Covid-19 mi ha richiamato alla mente due celebri detti, rispettivamente di Socrate ed Eraclito: «So di non sapere» e «La natura ama nascondersi». Nel caso di Covid-19, infatti, ci confrontiamo con un nemico nuovo, di cui ciò che non sappiamo è molto più di quanto sappiamo, anche se negli ultimi mesi abbiamo fatto grandi progressi nella conoscenza del virus e della sua interazione con il sistema immunitario. Ma sono stati numerosi anche i fallimenti: ad esempio, molti farmaci antivirali fra cui l’idrossiclorochina, rivelatasi più dannosa che utile. Ancora, in tre grandi sperimentazioni cliniche in Cina e in Europa la terapia con anticorpi presenti nel plasma (plasmaterapia) non ha dato risultati positivi anche se personalmente ritengo che il potenziale di anticorpi anti-Sars-Cov-2 rimanga da esplorare. Oggi sappiamo che una risposta infiammatoria fuori controllo è alla base della patologia nelle sue forme più gravi, la tempesta citochinica e la nuova malattia post-Covid che colpisce alcuni bambini, chiamata Mis-C (Multi-organ Inflammatory Syndrome-Children): l’unico farmaco che si è dimostrato – in modo rigoroso – in grado di ridurre la mortalità da Covid-19 è un vecchio anti-infiammatorio a basso costo, il desametasone.
Sono tante, insomma, le domande e le sfide che abbiamo cominciato ad affrontare: l’importanza della genetica dell’ospite, il ruolo dell’immunità innata, la funzione dei linfociti T e degli anticorpi, la durata e i meccanismi della memoria immunologica (anche dell’immunità innata), le strategie di allenamento del sistema immunitario, vaccini e non solo. Rispondere a queste domande e perseguire il sogno di sconfiggere il virus hanno come premesse indispensabili – per il bene dei pazienti – l’umiltà, il rispetto dei dati e il rigore scientifico. E includono una dimensione di salute globale e di condivisione.
Non possiamo dimenticare, infatti, che ancora oggi circa un milione e mezzo di bambini nei Paesi più poveri muoiono perché non hanno accesso ai vaccini più elementari (gavi.org/) e che un cucciolo di Homo Sapiens ogni cinque che nascono sul pianeta non ha accesso all’intero armamentario di vaccini salvavita. Anche per Covid-19, quindi, così come per i vaccini già in uso, la sfida e il sogno non può prescindere dalla condivisione.