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 2020  agosto 30 Domenica calendario

Una vecchia intervista a Noel Gallagher

Non potevo saperlo, quel mattino londinese illuminato da un pallido sole, che questa rara intervista con Noel Gallagher sarebbe stata irripetibile e che avrebbe assunto un valore storico. Per tre ragioni. La più banale: mai mi era capitato e mai più sarebbe successo di incontrare un Gallagher così sorridente, disponibile e, a tratti, persino esilarante. La più evidente: il 2005 è uno degli ultimi anni di relativa tranquillità tra i fratelli, che presto riprenderanno a litigare furiosamente fino a decidere di separare le loro strade. La più sorprendente ve la svelo alla fine dell’intervista.
Inizio, prima ancora di sederci, con una battuta: da quante ore non litigate, tu e Liam?
Noel ride. 
«Nella storia del rock, i grandi dischi nascono da un clima di forte tensione all’interno della band, come per gli Stones, oppure da un’atmosfera di perfetta armonia, come per i Led Zeppelin. Noi non abbiamo mai conosciuto la seconda situazione. Diciamo che è un periodo relativamente calmo. Il problema non è litigare, è quando ti scontri su argomenti che non hanno a che vedere con la musica. I litigi musicali sono salutari, necessari per ottenere un grande risultato. Se gli innamorati non litigano, cosa stanno a fare insieme? Sarebbero due stupidi inconsapevoli».
Perché detesta la stampa.
«Viviamo nell’era dei media, in un Media Evo allucinante. Sono i giornali, la radio e la televisione a stabilire che cosa sia vero e cosa no. Il rischio, quando è difficile distinguere la verità, è che la gente non creda più a niente. Per questo dobbiamo combattere un nemico comune: l’interesse degli americani. Quando ero più giovane e meno famoso, attraversavo l’Europa e nell’arco di due ore passavo da un mondo all’altro: culture, colori, lingue, vestiti, abitudini. Tutto diverso. Era bellissimo. Ora vai nelle strade principali di Londra, Berlino, Parigi e le vedi invase da negozi di vestiti americani. È questo il Villaggio Globale di cui tanto si è parlato? Vaffanculo. Stanno uccidendo l’identità nazionale, la peculiarità dei singoli Paesi. Io voglio rimanere Noel Gallagher da Manchester. Tra cinquant’anni tutti parleranno inglese, non esisteranno più le lingue cosiddette minori, a parte qualche piccolo paese dell’Irlanda o della Scozia. Ci sarà una sola bandiera: a stelle e strisce. Un solo ideale: il denaro. Una sola moneta: il dollaro. Questa è civiltà? Questo è benessere? Questa è evoluzione? Vaffanculo».
Il successo porta più benessere o complicazioni?
«Il successo non aiuta, mettiamola così. Abbiamo sempre desiderato diventare famosi. Ci siamo fatti il culo e la fama è stata una conseguenza. Abbiamo lottato per raggiungerla, ma non abbiamo lottato abbastanza per evitarne il prezzo. Se tornassi indietro, rifarei però esattamente le stesse cose, anche gli errori. Perché per diventare qualcuno devi rischiare e non fare i calcoli da ragioniere. Se ponderi ogni scelta, se fai i conti su ogni aspetto della tua carriera e della tua vita, beh, allora non sei una rockstar, sei un pupazzo. Io e Liam eravamo due ragazzi normali di una grigia città come Manchester, non siamo nati David Bowie. Non avevamo studiato, non eravamo particolarmente intelligenti. Non eravamo Thom Yorke. Nessuna voglia di diventare portavoce del malessere del mondo, andavamo allo stadio a vedere il Manchester City e quello ci bastava. Calcio e musica. E ragazze, quando era possibile. Grandi ricordi. Poi siamo diventati gli Oasis. E abbiamo continuato a divertirci. Solo che, a volte ci siamo smarriti e non abbiamo scelto la strada giusta. Per dare ascolto alla casa discografica, abbiamo fatto troppi dischi, ad esempio. Avremmo dovuto prenderci almeno tre anni di pausa dopo (What’s The Story) Morning Glory?. È il mio unico rimpianto. Ma so che è difficile fare la cosa giusta». 
Uno dei problemi del successo è che allontana dalla gente: conferma?
«Sono sempre stato un solitario. Sto bene da solo. Mettiamola così: il successo è un peso che ti porti sulle spalle. Diventi come un pugile, che con il passare del tempo e per via dei pugni ricevuti diventa sempre più lento e prevedibile. Definitely Maybe è stato il nostro veloce motoscafo, i dischi successivi navi sempre più grandi. E come tutte le navi grandi, erano comode e confortevoli e di lusso, ma anche più lente. Il fatto è che nessuno di noi pensava che saremmo durati a lungo. Essendo convinti di essere una grande band, pensavamo che ci saremmo sciolti dopo due o tre dischi. Mi ricordo il giorno in cui firmammo il contratto con la Sony, in questo edificio. Avevo già pronto il materiale per tre album, così pensai: Beh, almeno tre li facciamo».
E l’Italia?
«Non vorrei sembrarle una di quelle rockstar idiote che dicono sempre le stesse cose in ogni posto dove vanno: Voi siete i migliori!. La realtà, però, è questa. I fan italiani ci danno sempre qualcosa in più. Credo sia perché le cose che sono importanti per voi sono le cose che contano per noi: musica, calcio, famiglia, amici, ragazze, vestiti. Non necessariamente in quest’ordine. Abbiamo gli stessi valori. Adoro camminare per le vostre città, anche se è sempre più difficile perché mi riconoscono. I ragazzi italiani hanno grande rispetto per noi, per la musica, sono educati. E poi, non fate mai la coda. L’altro giorno, ero in un gigantesco supermercato per comprare il latte: 15 casse, due sole aperte per pagare. Non importa quanto tu sia ricco, famoso o importante. Alla fine della giornata, sei comunque parte di una coda». 
Qual è il consiglio più saggio che ha dato a suo fratello. 
«La scorsa estate, Liam era fuori di testa. Che cosa facciamo adesso?, mi chiese un giorno. Io dissi: Quando non sai cosa fare, non fare niente. Riduciti al minimo. Aspetta e vedrai. È una buona strategia: se sei indeciso e nella merda: rilassati, sorridi, versati da bere, vai in cerca di buon cibo, fai una passeggiata e poi una bella dormita».
Finale rock and roll. Queste le canzoni che avrebbe voluto scrivere, mentre, con mia enorme sorpresa, non avrebbe mai voluto scrivere Whatever e Roll With It, due classici degli Oasis: «I Am The Walrus e Ticket To Ride dei Beatles, Subterranean Homesick Blues, Like A Rolling Stone e All Along The Watchtower di Dylan, Jumpin’ Jack Flash degli Stones, Voodoo Chile di Hendrix».
E poi la sorpresa finale. Gli chiedo il sogno irrealizzabile. Risponde: «Il Manchester City che vince lo scudetto». Pochi anni dopo, lo sceicco Mansur bin Zayd Al Nahyan compra la squadra, investe una marea di soldi e il City torna a vincere.
Mai dire mai.