Il Sole 24 Ore, 30 agosto 2020
Ripubblicato il saggio di Cipolla sulla moneta
Il 31 ottobre 1284, il Consiglio dei Quaranta della Repubblica di Venezia ordinò che fosse coniata una moneta, il ducato, del peso di 3,545 grammi d’oro a 24 carati. Portava sul dritto il doge Giovanni Dandolo, in ginocchio davanti a San Marco, protettore della Repubblica, e sul rovescio Cristo benedicente racchiuso in un’aureola a forma di mandola. I veneziani arrivavano buoni ultimi, dopo i genovesi e i fiorentini che, dal 1252, battevano monete d’oro del medesimo peso del ducato di Venezia, comunemente noto come zecchino. Racconta Cipolla che il fiorino fiorentino primeggiò in Europa fino all’inizio del XV secolo e che, dopo di allora, fu lo zecchino di San Marco a fungere da «moneta internazionale par excellence». Il suo contenuto aureo restò invariato per 513 anni, sino alla fine della Repubblica per mano di Napoleone nel 1797. Al confronto, la leggendaria stabilità del contenuto aureo della sterlina, fissato da Newton nel 1717, durò “solo” 214 anni, con due importanti interruzioni.
Nel racconto di Cipolla (1922-2000), la reputazione di stabilità, una solida economia protesa agli scambi internazionali e l’alto valore unitario fecero dello zecchino «il dollaro del Medioevo». Quest’ultima caratteristica rendeva però impossibile offrire uno zecchino (ma nemmeno un “grosso” d’argento) al pescivendolo del mercato al minuto di Rialto in pagamento di un buon branzino. La moneta accettata senza discussione da Londra a Costantinopoli, nel grande commercio internazionale, non era utilizzabile nei piccoli pagamenti per le necessità quotidiane. Per queste serviva una moneta, detta “piccolo”, di basso valore intrinseco (rame o bronzo) che «rimase per tutto il Medioevo la sola che la maggior parte della gente avesse tra le mani». La moneta “grossa” circolava solo in un gruppo molto ristretto di persone.
Convissero dunque, lungamente, «due sistemi monetari, ciascuno con una propria area di circolazione sia d’affari, sia geografica, sia sociale» (p. 66). Questo dualismo nel sistema dei pagamenti si protrasse a lungo, cosa che sarebbe oggi impossibile, per varie circostanze, tra le quali l’estrema disuguaglianza nella distribuzione del reddito accanto alla la scarsa mobilità geografica e sociale della stragrande maggioranza della popolazione (quella, appunto, che conosceva solo la moneta “piccola”). I due sistemi convissero a lungo benché quello che usava la moneta “grossa” si caratterizzasse per la invidiabile stabilità nel valore della moneta stessa mentre l’altro, quello degli scambi quotidiani nei mercati al dettaglio, visse un «progressivo slittamento secolare del potere d’acquisto della coniazione piccola».
La maggior parte degli economisti vide nella svalutazione della moneta usata negli scambi quotidiani un difetto del doppio sistema medievale dei pagamenti. Non così Cipolla secondo il quale la progressiva diminuzione del valore intrinseco della moneta piccola permise di adeguarne l’offerta a mano a mano che la crescita della produzione e degli scambi ne accresceva la domanda, scongiurando una deflazione che avrebbe nuociuto alla fioritura dell’economia tardo medievale. Non sfugge però a uno storico analitico come Cipolla il fatto che, se questa dinamica monetaria non ostacolò la crescita della produzione, essa ebbe effetti indesiderabili sulla distribuzione del reddito, visto che i salari, pagati in moneta “piccola”, si aggiustavano lentamente alla sua svalutazione mentre i pannilana e gli altri manufatti, collocati sui mercati internazionali, si negoziavano in moneta “grossa”. Dice molto dell’acume intellettuale di Cipolla il fatto che il «grosso problema della moneta piccola», da lui affrontato quasi settanta anni fa, continui a intrigare storici ed economisti, non ultimo il premio Nobel Sargent che, nel 2003, gli dedicò un libro, scritto con François Velde.
Questo breve libro, al quale lo stile letterario di Cipolla conferisce un piacere di lettura che potrà sorprendere chi non ha familiarità con i suoi lavori, parla anche della moneta primitiva nell’Europa barbarica, dei prezzi relativi dei diversi beni, associandoli, nell’economia medievale, all’organizzazione sociale, alla tecnologia, alla distribuzione del reddito, e, infine, della “moneta fantasma” o immaginaria, altro tema che ha intrigato e diviso per decenni storici ed economisti. Si tratta di unità monetarie mai coniate, che tuttavia adempivano una delle funzioni fondamentali della moneta, quella di misura del valore, più prosaicamente di “unità di conto”. Ben prima del conio delle prime monete nel VII secolo a.C., i babilonesi usavano a questo fine riferirsi al grano d’argento. La riforma monetaria di Carlo Magno, alla fine dell’VIII secolo d.C., si basava sulla libbra (lira) d’argento, troppo pesante e di valore troppo elevato perché si prestasse alla coniazione. Eppure essa restò, tra mille vicende, l’unità di misura alla base di molti sistemi monetari dell’Europa continentale, sino alla riforma napoleonica.
Questo libro di Cipolla fu pubblicato originariamente da Princeton nel 1956 e tradotto da Neri Pozza l’anno dopo. Il Mulino lo ripropone nel ventesimo anniversario della morte dell’autore, uno dei più noti e amati tra quelli della casa bolognese, con una lunga introduzione di Ignazio Visco che mette in luce l’attualità di questo storico, «votato all’analisi, mai fermo alla descrizione». Attualità anzitutto di metodo, in un tempo come il nostro di grandi discontinuità, nel rapporto tra economia e storia. Se i modelli economici non possono che essere approssimazioni del mondo reale, la grande lezione di Cipolla è che, poiché il mondo cambia in «modo discontinuo e imprevedibile, non deterministico» (p. 8), l’economista deve essere pronto ad adattare il modello alla realtà. Un richiamo che a molti sembrerà ovvio ma che pone questioni non banali ai cultori della teoria economica.
Visco si chiede perché, in questo annus horribilis 2020, il Mulino abbia scelto di ricordare Cipolla con un volume giovanile, piuttosto che riproponendo, tra le discontinuità della storia che affascinavano questo prolifico autore, una di quelle sulle quali oggi più immediatamente ci interroghiamo, anzitutto le pandemie, sulle quali Cipolla scrisse pagine originali. Anche nella storia della moneta, a ben vedere, si prospetta una discontinuità ma non è questa la ragione che rende condivisibile la scelta dell’editore di ricordare un suo grande autore con studi giovanili di storia monetaria quanto piuttosto, scrive Visco, il fatto che con essi Cipolla si è imposto precocemente all’attenzione degli storici e degli economisti. Al di là delle contingenze che ne richiamino un particolare contributo, un grande studioso va ricordato per il suo lascito di ricerca, analisi e metodo alla comunità internazionale degli studiosi.