Il Sole 24 Ore, 30 agosto 2020
Dieci imperi e tanta leggerezza
Raccontare in un unico libro la storia del mondo nel corso dei millenni è impresa audace. Esige vaste conoscenze, capacità di sintesi, attitudini narrative, e soprattutto un acuto senso della discrezione per discernere ciò che è significativo. Quando poi ci si propone di contenere cinquemila anni di storia mondiale in 200 pagine, come nella Storia del mondo in dieci imperi dell’inglese Paul Strathern, allora l’impresa è ancora più audace. Specialmente se messa a confronto con altri storici che si sono cimentati nella stessa prova, come Jonathan Holslag, docente di politica internazionale, il quale ha avuto bisogno di oltre 500 pagine per ripercorre tremila anni di guerra e pace nella sua Storia politica del mondo (trad. it. di Giulia Poerio, Il Saggiatore 2019). E oltre 1.400 sono le pagine della fortunata New History of the World (quattro edizioni fra il 1976 e il 2003) dello storico inglese J.M.Roberts, ridotte a 700 con The Shorter History of the World (Storia completa del mondo. Dalla preistoria al Duemila, trad. it. di Fabrizia Fossati, Piemme 1998).
Bene attrezzato per una concisa storia mondiale degli ultimi cinquemila anni appariva Paul Strathern, romanziere prolifico, autore di libri sulla storia di Venezia, dei Medici, il Rinascimento, saggista di filosofia, matematica, chimica, economia, letteratura, e molto altro ancora. Per compiere l’impresa, egli ha scelto di raccontare la storia di dieci imperi: l’impero di Akkad, l’impero romano, i califfati degli Omàyyadi e degli Abbàsidi, l’impero mongolo, la dinastia Yuan, e gli imperi atzeco, ottomano, britannico, russo, e l’impero americano. L’estrema varietà temporale, geografica, etnica, politica, economica, sociale, culturale, religiosa, rende profondamente differenti i dieci imperi, ma non esclude la possibilità di una indagine comparativa, che tuttavia non sembra essere stata nelle intenzioni di Strathern. Infatti egli non propone una sua definizione del fenomeno imperiale, ma si limita ad osservare, nella introduzione, che stabilire «cosa costituisce un impero, di preciso», è «un tema spinoso», per poi domandarsi se una definizione di impero «rimane la medesima per tutto l’arco della storia mondiale».
Posta la questione in questi termini, ci si aspetterebbe almeno una sintetica indagine sulla definizione di impero e le sue variazioni dall’impero di Sargon nel III millennio a.C., che apre la sequenza dei dieci imperi, all’età dell’imperialismo verso la fine del II millennio d.C. Invece Strathern si limita a citare la definizione di impero del Dizionario di storia dell’Enciclopedia Treccani: «Organismo politico con a capo un sovrano che porta il titolo di imperatore. È formato generalmente da entità statali di varia natura e dimensione (regni, principati, signorie, città-Stato, nazioni ecc.), subordinate all’autorità imperiale». Mentre un embrionale tentativo di comparazione consiste soltanto nella constatazione di alcuni tratti comuni fra i dieci imperi: lo spirito di avventura, l’amministrazione, il potere e la conquista, prima attraverso la guerra armata, e poi attraverso l’idea di «civilizzare» le terre conquistate.
Nel corso del suo racconto, l’autore esprime talvolta considerazioni sull’essenza del fenomeno imperiale, una sorta di “degnità” alla Giambattista Vico: «Dagli imperatori romani a Napoleone, fino a Hitler e oltre, i sogni di grandezza imperiale restano radicati in un presente che si prolunga nell’eternità»; «chi conquista un impero non è semplicemente il vincitore di una guerra, ma si considera anche superiore agli altri, vuoi dal punto di vista razziale, vuoi da quello culturale». Sono considerazioni che possono orientare il lettore a comprendere il fenomeno imperiale nel corso dei millenni, ma sono troppo rare e sparse per fornire una guida adeguata.
Inoltre, in un libro dove la sintesi dovrebbe essere concentrata sugli aspetti storicamente più significativi, ci si imbatte spesso in aneddoti banali, come la vanità di Giulio Cesare, la sua preoccupazione per l’incipiente calvizie, le sue tre mogli e una frotta di amanti e «un buon numero di relazioni omosessuali serie, sulle quali infierivano i libellisti e i pettegoli del senato».
In realtà, più che compiere un viaggio nella storia con un metodo consapevole, Strathern sembra vagare da un impero all’altro, lasciandosi andare talvolta a divagazioni irrilevanti, per esempio sulle somiglianze del nome Cesare col russo “zar”, con il tedesco “Kaiser” e addirittura con i più antichi vocaboli babilonesi “Belsha’ssar”, “Nebukadnezàr”, per concludere sensatamente che «nella migliore ipotesi sono coincidenze, nella peggiore nulla di nulla». E nel vagare inciampa in qualche strafalcione, come la citazione sull’ethos democratico, attribuita da Strathern al «filosofo americano dell’Ottocento Thomas Dewey», mentre si tratta del filosofo John Dewey (1859-1952) e la citazione è tratta da Democracy and education, pubblicata nel 1916. Oppure si lascia andare ad affermazioni stravaganti, come quando, nell’ultimo capitolo, sostiene che la crisi dell’impero americano «nasce proprio dalla sorgente che credeva di aver prosciugato – il comunismo, oggi nelle nuove variazioni declinate dalla Cina e dalla Russia[sic!]». E Osama bin Laden?
Il libro si conclude con l’impero americano, e giustamente Strathern si pone la questione: cos’è di preciso l’Impero americano? Ma, conclusa la lettura, poco si apprende, che non siano notizie contenute in qualsiasi manuale di storia. Ed ancor più sorprende che il capitolo si concluda con il presidente Kennedy, come se da Nixon a Reagan e a George W. Bush, non ci siano stati presidenti “imperiali” ed eventi dell’impero americano che hanno condizionato la storia del mondo, dalla guerra del Vietnam all’attentato contro le Torri gemelle, seguito dalle guerre degli Stati Uniti dopo l’11 settembre 2001. La storia dell’impero americano dopo Kennedy si riduce a una battuta sulla corruzione delle elezioni presidenziali: «E per quanto riguarda il presente … be’, ci siamo capiti», con l’aggiunta in nota: «Mentre questo libro va in stampa, il “risultato” è il presidente Trump». Mentre l’elezione di Barack Obama, il primo presidente afro-americano dell’impero americano, è ignorata. Anche nelle note.
Una storia del mondo in un unico volume può essere benemerita divulgazione: ma se si risolve in una frettolosa divagazione, per quanto gradevole, non giova al lettore. Al quale possono invece giovare le meditate osservazioni sull’importanza della storia, che Holslag espone nella introduzione alla sua Storia politica del mondo: «Un viaggio nella storia rafforza la mente alla stessa maniera in cui una gita nella natura fortifica il corpo e l’anima. Richiede perseveranza e concentrazione per interpretare i molti eventi che si incontrano durante il cammino; sviluppa la sensibilità e la consapevolezza necessarie per individuare e superare gli ostacoli; infine, ci conduce a grandi altezze, e da lì possiamo guardarci indietro, trarre conclusioni e cercare il miglior percorso possibile verso l’orizzonte che ci si spalanca innanzi. In questo viaggio, non ci sono scorciatoie».