Il Sole 24 Ore, 30 agosto 2020
Uno studio su Giorgio Bassani
Provvide Natalia Ginzburg a mettere in contatto due giovani redattori editoriali, due scrittori, due esperti talent scout. Uno, Giorgio Bassani, si occupava della rivista letteraria «Botteghe Oscure» diretta da Marguerite Caetani, l’altro, Italo Calvino, lavorava per la casa editrice Einaudi. Era il 27 marzo del 1951. Calvino scrisse a Bassani. Voleva notizie di un suo racconto inviato alla rivista per la pubblicazione. Ne nacque un carteggio. E una collaborazione: tra una rivista di ricerca sul campo e di anticipazioni, e una prestigiosa casa editrice di ricerca e di promozione. Italo Calvino aprì subito la “pesca”. Sulla rivista aveva scoperto il racconto Casa d’altri di Silvio D’Arzo. Ne scrisse a Bassani, tanto di furia da storpiare il titolo del racconto: «Ho letto il D’Arzo e mi sembra molto buono. Può dirmi se tra le altre cose che ha lasciato c’è di che fare un libro che si tenga sul livello di quel racconto? E a chi bisogna rivolgersi? L’abbiamo segnalato a Vittorini e non so ancora se l’ha letto, ma penso che comunque nei “Gettoni” pubblicare anche solo Casa altrui [sic] avrebbe un significato, e valorizzerebbe presso un pubblico più vasto la scoperta di “Botteghe Oscure”». Tre mesi dopo tornò sull’argomento, più riposatamente ma un po’ stizzito con Vittorini: «Ho lasciato passare tanto tempo per D’Arzo, attendendo che Vittorini lo leggesse. Ma il fatto è che non l’ha ancora letto perché questa “Botteghe Oscure” in Italia la vedono poche persone: ma mi ha detto finalmente che si fida del mio parere, che provveda io, che concluda. Sono ancora in tempo? Vorrei che si facesse Casa d’altri in un volume dei “Gettoni”. Può scrivermene qualcosa? Non vorrei perdessimo anche questo, come abbiamo perduto Brignetti, cui tanto tenevo, e che avevo pure raccomandato all’attenzione di Vittorini a suo tempo». Raffaello Brignetti era un esordiente di «Botteghe Oscure». La lentezza di Vittorini fece «perdere» alla Einaudi anche D’Arzo.
Tra Bassani e Calvino finì per nascere una confidenza intima. Bassani raccontò all’amico, con divertita autoironia, un piccolo incidente: «Ritorno in ufficio dopo una breve parentesi chirurgica, felicemente conclusasi. L’unica cosa in comune tra me e Dostoevskij – le emorroidi – non esiste più». Nel frattempo Calvino era diventato, presso Einaudi, il redattore delle Cinque storie ferraresi e de Gli occhiali d’oro dell’amico. Delle Storie, a Calvino piacque molto Una lapide in via Mazzini: «Mi interessa molto questo Suo ficcarsi dentro la cronaca più cronaca, per tirarne fuori un vero solido racconto morale; e questo giro di frase “verboso” che pare voglia fare tutto esplicito, tutto esplicito, e poi invece quello che conta è implicito; e questo modo di apparire (conradiano?) dei personaggi». E del racconto Una notte del ’43, su un eccidio fascista, scrisse: «È bello con questo senso della provincia dove tutti si conoscono e tutto avviene in un giro noto e i luoghi e le ore sono nel sangue».
Bassani era un esperto d’arte. Si era formato alla scuola di Roberto Longhi. E per i suoi libri intervenne sulla scelta delle illustrazioni di copertina. Insistette con Calvino perché Gli occhiali d’oro avessero un De Pisis. Dapprima propose una delle gouaches «raffiguranti nudi o semi-nudi di splendidi ragazzotti “prestatori del pene”, come direbbe Gadda». Poi si corresse: «Quanto alla copertina, sono sempre attaccato all’idea del De Pisis. Ne ho trovato uno, inedito, molto bello, anche di colore, e niente affatto osceno, anche perché, tra l’altro, ha le braghette del bagno».
Lo scambio di lettere qui sintetizzato è pubblicato nel volume Giorgio Bassani in redazione. Il carteggio con Italo Calvino (1951-1956), ben curato da Cristiano Spilla per Giorgio Pozzi Editore di Ravenna (2019, pagg. 112, € 15). Ed è una delle tante pubblicazioni prodotte, a partire dalle celebrazioni per il centenario della nascita di Bassani nel 2016. Nell’occasione del centenario è stato infatti riordinato, sotto la guida di Paola Italia, e messo a disposizione degli studiosi, il ricco archivio di manoscritti, dattiloscritti, abbozzi, sceneggiature di film, taccuini, interviste radiofoniche e televisive, inediti vari e cortometraggi sulla conservazione del patrimonio naturalistico e artistico di Bassani (che, dal 1965 al 1980, fu presidente di Italia Nostra). E fra queste carte, importanti sono gli epistolari, come quello con lo scrittore sardo Giuseppe Dessì pubblicato da Francesca Nencioni con un denso e informatissimo commentario critico: «Meditare, studiare, scrivere». Il carteggio Giorgio Bassani-Giuseppe Dessì (Giorgio Pozzi Editore, 2017, pagg. 132, € 15). Ora arriva in libreria il collettaneo La carta e la tela. Arti e commento in Giorgio Bassani, a cura di Flavia Erbosi e Gaia Litrico. È un libro ricchissimo, questo. Si occupa di Bassani «pittore della pagina», della sua cultura figurativa (ferrarese, in particolare), dei suoi interessi per la musica (riflessi nei romanzi e nei racconti con precisi riferimenti a opere in musica), di un taccuino (trascritto e studiato da Angela Siciliano) che raccoglie la documentazione giornalistica utilizzata per la scrittura del racconto Una notte del ’43 e (in un saggio di Sergio Parussa) dei dattiloscritti del romanzo Il giardino dei Finzi-Contini: «Nelle prime stesure dattiloscritte, i riferimenti intertestuali sono spesso riportati nel corso del testo tra virgolette, in forma di vera e propria citazione, a volte con indicazioni precise della fonte da cui la citazione è tratta: nome dell’autore, titolo dell’opera, ecc. Nel corso della revisione del romanzo, però, queste stesse citazioni vengono incorporate nel testo fino a diventare impercettibili, a non essere più riconoscibili come citazioni vere e proprie ma solo come allusioni cifrate, echi di altri testi e di altre letture. La voce del narratore del Giardino tende così a mescolarsi, fin quasi a sovrapporsi, a quella di altri autori secondo un processo di osmosi autoriale che assume, di volta in volta, secondo i contesti, significati diversi».
Un’altra impostazione di voce documentano le Interviste 1955-1993 (Feltrinelli, 2019, pagg. 408, € 25) raccolte e curate da Beatrice Pecchiari e Domenico Scarpa. Qui Bassani disegna una sua biografia critica: narrativizza la sua cultura, «il suo sistema di riferimenti, la costellazione dei suoi maestri», tra Benedetto Croce e Roberto Longhi.
La vivacità e la ricchezza critica degli Atti del Centenario (Cento anni di Giorgio Bassani, a cura di Giulio Ferroni e Clizia Gurreri, Edizioni di Storia e Letteratura, 2019, pagg. 546, € 58) ci consegnano uno scrittore riscoperto e rivalorizzato. Riletto in una luce nuova e ricostruito in tutti i suoi aspetti. Ha scritto Ferroni, nell’Introduzione: «Bassani si pone come uno dei più importanti intellettuali del dopoguerra, una delle voci più intense e poliedriche di una cultura laica e democratica, dotata di fortissimo senso storico e di determinata tensione “civile”, che sembrò minoritaria rispetto alle tendenze allora dominanti, dal “neorealismo” alla neoavanguardia... uno scrittore che appare sempre più essenziale nel quadro del Novecento italiano: con la sua affermazione della necessità della memoria e della sua salvaguardia nello spazio della vita quotidiana... Memoria della shoah, memoria di chi è stato schiacciato dall’orrore della storia, contro l’oblio, il silenzio, contro tutto ciò che alimenta il ritorno sempre in agguato dell’esclusione, della negazione del diverso, del razzismo». Bassani è un classico del Novecento.