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 2020  agosto 30 Domenica calendario

Senza più il tifoso abbonato

Anno 2020: nella mutazione del calcio sopravvive il tifoso, ma rischia di scomparire l’abbonato. Non è, a tutti gli effetti, la stessa cosa. Trecentocinquantamila tesserati in via d’estinzione, almeno temporanea.
Cambiano il rapporto, l’economia, lo scenario futuro. L’abbonato è un socio sostenitore, il tifoso solido, a cui viene assegnato un posto, un numero. Assume un impegno, spende e si spende per la sua fede. Compie un rito periodico. Fatica e fa rete. Esce di casa, cerca il parcheggio, suda quasi quanto i calciatori, conosce i vicini di tribuna o gradinata, intesse una relazione che dura nel tempo. Senza l’abbonamento il tifo diventa liquido. E, come la società liquida o l’amore liquido teorizzati dal filosofo Zygmunt Bauman, si predispone al cambiamento, all’omologazione, al consumo in forme tecnologiche. In definitiva, a una superiore distanza rispetto all’oggetto del sentimento. E quindi alla possibilità di lasciarlo.
Per un abbonato l’abiura è una scelta complicata, un divorzio tardivo che comporta la rinuncia a un pezzo di vita e di cui solo la lontananza forzata può facilitare le pratiche mentali. Gli abbonati sono (stati) compagni di una vita. Si sono incontrati, hanno scambiato informazioni sulle loro esistenze nel minutaggio prima dell’inizio, condiviso speranze e presagi, irriducibili all’intervallo, realizzati o naufragati alla fine. Quando un abbonato spariva dal suo posto se ne celebrava la morte, o il disincanto. In età giovanile abbandonai la tessera del Bologna perché aveva ceduto al Napoli Beppe Savoldi, certificando che nulla era per sempre, quindi neppure la mia disponibilità. Occorre una frattura per disgiungere un legame. Senza che questo sia stato formalizzato tutto è più facile, esposto al vento del tempo. Si veda quel che è accaduto nella liquidità della politica: finita l’epoca delle tessere, delle sezioni, dei circoli, delle feste del giornale, sono cominciate le migrazioni, i flussi elettorali incontrollati e imprevedibili, come blocchi di tifosi che, senza abbonamento, indossano le strisce secondo i dettami della moda annuale.
Se oggi scrivi su Google le parole “calcio abbonamento” la prima schermata che ti appare è dedicata all’opzione televisiva. Ma il piccolo sport da parete fluidifica i rapporti e rischia di accentrare le scelte, favorendo l’oligarchia. Chi cresce con questa opzione tenderà a preferire le squadre più visibili, quelle da coppe, anche se lui sta a Firenze e quelle a Torino, Milano, Roma, perché gli saranno paradossalmente più vicine e familiari.
Per una liquidità che la mancanza di abbonamenti produce ce n’è un’altra che riduce: quella di denaro fresco nelle casse della società. Tutti gli altri ricavi sono dilazionati. Questo significa meno soldi in estate e dunque calciomercato povero o, quantomeno, attendista.
Il futuro è incerto per tutto e tutti. Il prossimo decreto potrebbe riaprire parzialmente le curve, ma l’effetto provocato dagli assembramenti in vacanza e il ricordo, per dire, di Atalanta-Valencia, dovrebbe sconsigliarlo. Dopo l’esperienza dei mancati o ritardati rimborsi e dei voucher, l’abbonamento diventa, come per Pascal la fede, una scommessa. Sarà per questo che l’Udinese ha pensato a una lotteria per assegnare i primi mille posti.
All’incrocio di tutte le strade c’è poi una discussa iniziativa di Fratelli d’Italia a Fiumicino che forza il legame tra calcio e politica, fede e impegno: regalare dieci abbonamenti per riportare alla normalità, che sarebbe lo stadio locale. Si chiama Desideri. A volte restano sogni.