la Repubblica, 30 agosto 2020
Xi vuole trasformare la Cina in potenza navale
All’inizio del XV secolo, quando la civiltà europea appena immaginava le grandi esplorazioni oceaniche, l’imperatore cinese Zhu Di ordinò di costruire la flotta più grande al mondo. Comandato dall’ammiraglio musulmano Zheng He, il gruppo di 317 navi, con decine di migliaia di soldati a bordo, si tuffò per trent’anni in spedizioni commerciali e politiche, avventurandosi fino al Corno d’Africa e al Mar Rosso. Fu una parentesi nella storia di un impero terrestre per natura, e che nell’800 sarebbe stato colonizzato dalle flotte occidentali. Oggi, seicento anni dopo l’imperatore, Xi Jinping sta provando a ripetere l’impresa: trasformare di nuovo la Cina in una «potenza marittima». L’obiettivo è nei documenti ufficiali della leadership comunista già dall’epoca del predecessore Hu Jintao. Ma sotto Xi ha acquisito nuova urgenza, perché nel controllo dei mari, almeno di quelli “interni” che circondano le coste del Dragone, passa buona parte del sogno di riscossa nazionale e della sfida con gli Stati Uniti. I cantieri di Pechino sfornano a un ritmo senza pari cacciatorpediniere, fregate, corvette, sommergibili e portaerei, sempre più moderni. E il risultato è che già oggi la marina cinese è tornata la più grande al mondo: 335 navi contro le 296 degli Stati Uniti. Di questo passo, entro il 2030 saranno 425. Una «forza formidabile», per usare le parole del Congressional Research Service americano, la «prima sfida» alla supremazia Usa sui mari «dall’epoca della Guerra Fredda». Ma quantità non significa per forza qualità. Nonostante la travolgente «modernizzazione», parola chiave del comandante in capo Xi, la potenza navale cinese continua ad essere zavorrata da debolezze tecniche e strategiche, che sarà difficile superare.
I mari interni
«L’obiettivo della Cina è far evolvere gradualmente la sua marina da forza di costa, dedicata alla protezione dalle invasioni, a forza regionale», spiega Olli Suorsa, ricercatore dell’Istituto per la Difesa e gli Studi strategici della S. Rajaratnam School of International Studies di Singapore. «E poi da una forza regionale a una marina blue-water », cioè capace di operazioni oceaniche, terreno dell’attuale egemonia americana. A che punto è? «In questo momento è una forza regionale», dice Suorsa, dimensione che corrisponde alle sue più immediate priorità strategiche, cioè il controllo dei bacini chiusi che la circondano, contesi con i vicini e rivendicati sulla base di fantasiose teorie storiche. Il primo è il Mar Cinese Meridionale, decisivo per garantire i flussi commerciali Est-Ovest dallo Stretto di Malacca, la rotta più trafficata al mondo. Una potenza commerciale come la Cina non può accettare che la polizia di quei mari sia americana. Il secondo è il Mar Cinese Orientale, che la separa da Giappone e Taiwan, l’isola che Pechino deve ad ogni costo riannettere, in pace o in guerra. Questi due mari che circondano il Dragone sono delimitati da quella che gli strateghi chiamano “prima catena di isole”, il più immediato perimetro su cui vietare (o ritardare) l’accesso alle forze americane in caso di conflitto. Per esempio in caso di invasione di Taiwan, eventualità per cui la Cina sta rafforzando la sua forza anfibia da sbarco, i suoi Marines.
Forze e debolezze
«L’obiettivo di raggiungere il quasi dominio su questi due mari e impedire l’accesso americano sta diventando sempre più credibile», dice Suorsa. Pechino invia fregate e cacciatorpediniere lungo la prima catena di isole. Ha varato la sua seconda portaerei, tutta con tecnologia cinese, e sta già costruendo la terza. Nel Mar Cinese Meridionale ha militarizzato gli isolotti contesi con il Vietnam e gli altri Stati vicini, usando pescherecci ibridi e guardia costiera per imporre il controllo. Ha dedicato enormi risorse allo sviluppo di armi antinave (leggi: anti America), sviluppando un ombrello difensivo di missili superiori per quantità, gittata e velocità a quelli Usa, la cui punta di diamante sono i nuovi ordigni ipersonici da sparare contro le portaerei americane. Molti analisti però sottolineano anche le debolezze, che potrebbero emergere in una guerra combattuta nelle acque di casa. Il livello di professionalità è inferiore a quelli di Usa e Giappone. Anche l’esercito soffre delle rigidità comuniste, sulla tolda di comando il comandante militare e il commissario politico del Partito si pestano i piedi. L’altro problema è che l’intera prima catena di isole è costituita da alleati o partner americani: Giappone, Taiwan, Filippine e Vietnam. Nel giardino di casa la Cina non ha amici, ma vicini sempre più ostili.
Profondo rosso
In caso di guerra, gli avamposti nel Mar Cinese Meridionale potrebbero trasformarsi da risorsa in zavorra, visto che sono lontani migliaia di miglia dalla costa e dal principale porto militare di Yulin, sull’isola di Hainan. Qualche analista considera Pechino già “sovraesposta” dal punto di vista strategico. E a maggior ragione il rischio aumenterebbe se la Cina provasse a proiettare la propria forza marittima oltre, nell’aperto degli oceani. L’obiettivo sulla carta c’è, se non per sfidare l’egemonia americana almeno per proteggere gli interessi commerciali lungo le Vie della seta. Il problema è che alla Cina manca l’infrastruttura di supporto. L’idea di creare una catena di porti “duali”, lungo l’Oceano indiano, è la soluzione individuata dal comando cinese. Tre anni fa Pechino ha inaugurato la sua prima base all’estero a Djibouti, nel Corno d’Africa. Ma realizzare basi lontano dalla Cina è complesso e costoso. Gli stessi progetti di ampliamento dell’arsenale sono stati rivisti: dalle sei portaerei previste, ne dovrebbero essere realizzate quattro, e anche la costruzione dei sottomarini è rallentata sebbene gli ultimi modelli, più silenziosi, rappresentino un significativo passo avanti, decisivo per garantire la deterrenza nucleare. «Il ritmo a cui la Cina costruisce navi è incredibile – dice Suorsa – ma Pechino potrebbe capire molto presto che più una marina diventa grande e complessa più è costosa da mantenere. Ci vorrà tantissimo tempo prima che la Cina arrivi vicino agli Stati Uniti nella forza oceanica, e probabilmente non sarà mai comparabile. Ma già oggi è un’importante potenza navale».