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 2020  agosto 30 Domenica calendario

Libia alla fame, il popolo urla

Ci siamo preoccupati dei migranti in transito, delle loro moleste sollecitudini. Ci siamo preoccupati del petrolio, degli oleodotti, dei jihadisti di Sirte, dei conti dell’Eni, dei turchi impiccioni e imperialisti, degli egiziani arroganti, dei mercenari di Putin troppo presenti e degli americani troppo assenti, degli equilibri geopolitici e delle medagliette postcoloniali di Caneva, Graziani e del quadrunviro, «la quarta sponda è nostra, francesi giù le mani…», eccetera eccetera.
E i libici? Quando mai ci siamo preoccupati dei libici nella nostra taccagna realpolitik occidentale? Di cosa pensano, cosa vogliono, cosa sognano... i libici che prendono fiato appena quel che basta per restar vivi.
La rivoluzione opaca
Dieci anni dopo la opaca rivoluzione tutte le piazze della Tripolitania si riempiono da giorni di gente furibonda, esausta, i libici appunto, che protestano chiedono invocano maledicono, bruciano copertoni e sfasciano qualche auto. Li prendono a fucilate, con metodo, i miliziani, il torpidume di Al Sarraj, il nostro uomo laggiù. Nella zona di Al Asaba testimoni raccontano di case saccheggiate e civili uccisi.
Eppure sono loro che dovrebbero appassionarci, non i parolai della guerra: l’elemento umano, la resistenza dell’indifeso uomo comune contro i corrotti, i fanatici, gli assassini. Non ci bastano i loro slogan, che sono puro linguaggio rivoluzionario: «Stiamo morendo senza luce acqua cibo», «no ad Haftar no a Sarraj», «basta guerra, via i mercenari siriani e turchi dalla Libia».
Disperazione e ragione
In qualche città i manifestanti hanno sventolato perfino le bandiere verdi del Colonnello e invocato come soluzione uno degli inutili, torbidi figli del Raiss. La disperazione con le sue ruvide suole calpesta davvero ogni ragione.
Stupore sconcerto silenzio da questa parte del mare. Questi chi sono? Si chiedono le cancellerie abituate ai volti di Haftar e di Al Sarraj, sbiadite comparse, ai ghirigori di Putin, di Al Sisi, di Erdogan, i burattinai. Il mimetismo di un cessate il fuoco a cui nessuno crede pieno come è di opportuni distinguo, di punti interrogativi, di fughe in avanti seminate apposta come tagliole (il voto il prossimo anno!) ci basta. Mentre è solo la guerra che ha raggiunto il suo limite critico e deve essere riprogrammata per riprendere e continuare.
Gli uomini della guerra
Sono già pronti gli uomini che la guideranno. Eppure i nostri libici dovrebbero essere proprio loro, i manifestanti. Non sappiamo da dieci anni capire andando oltre le rughe superficiali. Pagliacci e complici: ecco a cosa son ridotte le arti della occidentale diplomazia, di quando in quando li preghiamo di portare pazienza, preso vi salveremo. Intanto pompate petrolio e non lasciatevi sfuggire i migranti.
Dopo il Colonnello
C’è una storia? Sì c’è, inizia proprio nove anni fa, è eliminato il tiranno ma la democrazia fa l’asilo. Il 7 luglio 2012 i libici corrono ai seggi, per la prima volta. Non sanno che si è deposto il potente per ereditarne il potere. Che si consegnano a gente che fiuta il denaro. Che le milizie sono il veleno che nessuno ha eliminato. Questo è un paese di corrosioni, niente di unanime, si reagisce a spugna assorbendo tutto, un posto approssimativo per ogni cosa, ogni cosa si presenta con gli spigoli lacerati.
Non posso scordare quello che ho visto nove anni fa, la fatica la dedizione il coraggio il sudore. Materiale eccellente per una occasione sciupata. Dei libici volevano uccidermi, dei libici mi hanno salvato. Equazione perfetta, tutto era possibile. Domanda: chi ha stuprato la grande avventura della solidarietà e della ricostruzione? C’è chi si è dato al sacco?
Intanto la Libia mese dopo mese anno dopo anno assomigliava sempre di più al caos primigenio, quello delle nebbie della fabbricazione; solo che ne segue non il principio del principio ma il principio della fine. I numeri di telefono di loschi criminali e capobanda sono finiti sulle riverite agende di ministri e ambasciatori occidentali come interlocutori. Il disordine vissuto dai libici invece assomigliava sempre più a quello che conclude le malattie gravi, già prima della morte, quando l’unità della carne si dissipa e scompare.
L’odissea infinita
Ogni notte (c’è connessione a Internet) nel racconto di amici la odissea dei libici aggiungeva nuovi capitoli, altre stazioni: «Oggi solo un’ora di corrente elettrica, manca l’acqua... riso pasta latte le bombole del gas per i generatori… tutto sta aumentando… funziona solo il mercato nero tutto si paga in dollari e dobbiamo fare file di ore per tentare invano di ritirare il denaro in banca».
I libici: seduti su un mare di petrolio e alla ricerca di una latta di benzina diventata introvabile... contrappasso? Beffa della Storia? Punizione?
In una manifestazione a Tripoli, nella piazza dove Gheddafi arringava dal balcone promettendo la terza via verso il paradiso, sfila una donna anziana, piccola, vestita di nero, che sembra uscita da un romanzo di Deledda. Cammina compunta in mezzo a ragazzi scatenati e scandisce con calma, metodicamente una frase, sempre la stessa: «Noi moriamo di fame e voi pagate con i dollari del petrolio i mercenari siriani...».
I padroni di Tripoli
Già i siriani e i turchi. I veri padroni di Tripoli. Il grande azzardo di Al Sarraj assediato dal suo rivale, rivolgersi al sultano di Istanbul. Era lì che cercavano aiuto, un tempo, i notabili delle grandi famiglie tripoline per i loro tortuosi maneggi. Le fotografie dei mercenari, lanzichenecchi siriani arruolati tra le bande dei jihadisti che la Turchia ha assunto ad Idlib, che sventolano mazzi di denaro ricevuto come paga dal governo libico ha umiliato i libici.
Che ora si chiedono: se arriverà la pace chi avrà la forza di mandarli via? Continueranno a imporre la loro «sicurezza» o passeranno sotto le bandiere degli apostoli del Califfato della Sirte?
Il pericolo della solitudine
Perché non abbiamo imparato dai nostri errori, qui ma anche in Niger o in Somalia o in Siria: aiutare la gente che ha imparato a vivere sulle rive della disgrazia? Non è misericordia, è efficace scelta politica: è sul terreno morale che si avvertono le differenze di posizione, nello schierarsi non a parole con chi ha la sofferenza in sè. Perché è cammino odioso, pericolosissimo quello della solitudine. I popoli come quello libico attorno a cui per anni la disgrazia la corruzione la guerra fluiscono, proliferano, trabondano sono naufraghi abbandonati su uno scoglio.
Pensavamo di aver scoperto la pietra filosofale per fermare i migranti, convulsa ossessione, affidarli alle milizie libiche, gli scafisti assicurando un guadagno maggiore. E adesso sulle barche salgono proprio i libici, disperati come le loro vittime, e sbarcano sempre più numerosi in Sicilia e in Calabria. A Tripoli gira la propaganda di un numero di telefono: si chiama e si affitta un passaggio.