La Stampa, 30 agosto 2020
Il caso di Armine, la modella brutta
Stando all’iconico marchio di moda per il quale sfila quest’anno, Armine Harutyunyan è una delle cento donne più sexy del mondo. È una ragazza di 23 anni con un nome importante che viene dall’Armenia. Un viso spigoloso, due occhi neri scavati sotto un paio di sopracciglia folte, dritte e meditabonde, e un sorriso pieno di intelligenza. Ma nelle fotografie che ormai spopolano in rete indossa quasi sempre un’espressione accigliata, come se lei ce l’avesse con tutto il mondo. E forse ha ragione.
Perché da quando è uscita in passerella, Armine è stata investita da un’onda anomala di bodyshaming, di pesanti insulti rivolti al suo aspetto. Un vero e proprio uragano tutto frutto dei soliti leoni (e non meno leonesse) da tastiera che, pronti a dettare al mondo le proprie leggi, l’hanno caricata di un ricco assortimento di improperi, al cui confronto “racchia” è una carezza. Come capita sempre nel mondo virtuale, non è tardata la formazione di uno schieramento opposto, con massiccia levata di scudi a difesa di Armine. Il che non è solo legittimo, ma sacrosanto. Il punto, però, non è tanto il dovere morale e civile di salvaguardare – anche se solo virtualmente – una giovane donna vittima di insulti, quanto la strategia adottata quasi all’unanimità: non è vero, Armine è bellissima.
No, non è questa la strada. Armine non è bellissima, e nemmeno bella. Sarà pur vero che non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace, ma per l’appunto Armine bella proprio non lo è. Obiettivamente, per lo meno sulla base di canoni estetici assodati da secoli. Per lei, per quel suo sguardo profondo e intelligente, per quell’ovale che ovale non è ma triangolo, per quelle sopracciglia spinose, si può dire che è “particolare”, “interessante”, che “ha dei bei capelli” (anche se forse portarli dietro le orecchie e appiccicati alla testa non aiuta a valorizzarli). Ma bella? Diciamocelo sinceramente, proprio no.
Il punto, allora, è questo. E cioè che per un autentico progresso, per una educazione collettiva attraverso e dentro la rete, è forse giunto il momento di tentare una via che sfugga dall’antitesi del politicamente corretto/scorretto e s’inoltri sul terreno spinoso ma inevitabile della sincerità. In altre parole, non negare l’evidenza, ma accoglierla civilmente. Riconoscere che Armine bella proprio non lo è, magari ammettere pure che è bruttina. Ma che la bellezza non è una virtù né tanto meno un merito. Non è una virtù come non lo è essere bianchi invece che neri. Non è un merito come non lo è essere bruni invece che biondi. E dunque chi non è bello ma brutto non è carente né colpevole di nulla.
E proprio perché essere belli non è una virtù ma una fortuna (e neanche sempre quella), anche se non si è belle si può essere brave a sfilare, portare bene l’abito, essere interessanti, intriganti, professionali, simpatiche e chi più ne ha più ne metta. Negare l’evidenza che Armine non è bella non serve per combattere il pregiudizio e l’odio da tastiera. Anzi, può dare sponda all’ottusità di chi se la prende con lei solo perché non è bella, solo perché obiettivamente (e statisticamente) una delle cento donne più sexy del mondo non lo è.
Il vero progresso, insomma, non può prescindere da una certa dose di lucidità. Anche se, a giudicare dagli sconfortanti spettacoli di cui la rete dà prova quotidianamente, non ultimo quello ai danni dell’intrigante modella armena, la strada per arrivare ad assunti semplici come “è brutta, è brava” (attenzione, non “è brutta ma brava”, che dice tutto il contrario) è ancora piuttosto lunga.