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 2020  agosto 30 Domenica calendario

Intervista a Cochi Ponzoni

Qualcuno l’ha mai chiamata Aurelio?
«Sì, mia mamma quando mi voleva menare».
Peraltro, fu lei a ribattezzarla Cochi.
«Ha cominciato a chiamarmi così da quando sono nato, perché diceva che assomigliavo a un personaggio del Corriere dei Piccoli, una specie di fantolino. Da allora è rimasto e io non ho fatto niente per cambiarlo».
E perché, nella coppia d’arte, viene prima di Renato?
«Solo perché suonava meglio, mai avuto manie di protagonismo».
Di Cochi Ponzoni, 79 anni compiuti in lockdown, colpisce la dolcezza, dello sguardo e dei modi, di come racconta le storie e lo fa per sottrazione, dando valore alle persone con cui le ha condivise. E poi colpisce l’eleganza della moglie, Nora, che come una visione compare nel salotto di casa in un pomeriggio afoso, per assicurarsi che l’ospite e il marito stiano bene, ci sia l’acqua o un’altra cosa fresca, mentre Milla, una dei due ragdoll (l’altro è Bruno) si mette in mostra per farsi salutare.
Quando ha visto Renato Pozzetto l’ultima volta?
«Sono andato a trovarlo ai primi di agosto con mia moglie, perché poi doveva cominciare un film nuovo con Pupi Avati. Ci eravamo incontrati anche al funerale di Tinin Mantegazza...».
Che effetto le ha fatto?
«Brutto... Ma era una persona talmente ricca di talento e vitalità che ha lasciato una scia forte. Io e Renato lo frequentavamo da giovanissimi, quando lui e la moglie Velia ci invitavano ai vernissage nella loro galleria d’arte, la Muffola, per intrattenere il pubblico con le nostre canzoncine».
Se si guarda indietro, cosa rivede con più tenerezza?
«Il debutto al Cab 64. Quando i nostri amici seppero che stavamo debuttando lì vennero in massa, poi uscimmo noi sul palco e si misero tutti a russare!». E ride.
L’avventura più bella?
«Il viaggio in Inghilterra con Jannacci e Renato. Enzo continuava a menarla con la Swinging London, le minigonne, Mary Quant. Io, che la città la conoscevo bene perché ci avevo vissuto per un anno, mi offrii di fare da guida. Era il 1965. Enzo arrivava da Pompei, lo abbiamo accompagnato a casa, non gli abbiamo dato nemmeno il tempo di cambiarsi e siamo partiti tutti e tre con la Mini Cooper di Renato. A Calais abbiamo preso il traghetto, un viaggio... Con il mare forza 4 stavano tutti male. Poi da Dover siamo andati dritti a Londra. Al Crystal Palace, davanti all’antenna della Bbc, c’era un camping dove si potevano fermare le roulotte e abbiamo dormito in tenda. Poi quando li ho portati a Carnaby Street, Enzo ha commentato: tutto qui? Dopo siamo andati a Blackpool, sul mare d’Irlanda, a trovare i miei amici inglesi».
La sua canzone preferita di Cochi e Renato?
«A me mi piace il mare, Silvano, La gallina, Canzone intelligente, Lo sputtanamento... Tutte quelle più surreali».
E lo sketch?
«La solita predica e La scuola».
Come vi venivano?
«Era un processo creativo anomalo... Quello della scuola è nato ad Alassio, eravamo con Jannacci. I Giganti avevano inciso Tema e noi volevamo replicare con Problema e così è venuta fuori questa situazione scolastica: era l’epoca delle baronie. In Rai solo dopo tredici sketch si accorsero che il prof cercava di beccare i soldi dal padre dell’alunno e ci hanno censurati: era arrivata una lettera del ministero della Pubblica istruzione».
Gelosie tra voi due?
«Mai, eravamo talmente in simbiosi, ci siamo sempre capiti al volo».
Negli anni 80 scrissero che non eravate più nemmeno amici.
«Cose inventate. La verità è che non volevamo fare cinema come coppia, alla Franco e Ciccio. Contemporaneamente a lui proposero Per amare Ofelia e a me Cuore di cane e seguimmo le nostre strade».
Eppure in due interviste, una a «Oggi» nell’81, l’altra alla «Domenica del Corriere» nell’84, lei fece dichiarazioni molto amare...
«Mi dispiace sinceramente, perché non è vero. Io a un certo punto da Trieste mi trasferii a Roma, mi ero separato da mia moglie, e feci altro. Era una separazione consensuale, ma gli avvocati ne sapevano poco, così fondai l’Aassocizione separati e divorziati: riuscivamo a far divorziare le persone con centomila lire».
Perché, allora, questo accanimento nel cercare una lite?
«Mi consideravano il povero cristo rispetto a Renato, ma io ero felice di fare il teatro di prosa. Comunque ne hanno scritte di cotte e di crude... Negli anni 70 Novella 2000 ci mise in copertina con un trans: ce l’eravamo trovato nella hall del Principe di Savoia, ci aveva presi sottobraccio per pochi secondi con il paparazzo pronto a scattare...».
Ha conosciuto Dino Buzzati, Lucio Fontana, Piero Manzoni, personaggi straordinari di un’altra stagione culturale.
«Fontana lo riaccompagnavo a casa in 500 tutte le sere. Più di una volta mi disse: vien su che te do un quader. L’anno scorso da Sotheby’s hanno battuto una sua opera a 28 milioni di dollari... Ma non rimpiango di non averne approfittato».
Chi sono i vostri eredi?
«Eredi non ne abbiamo. Ci sono bravissimi comici, ma le nostre cose sono nate in una bolla di assoluta amicizia».