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 2020  agosto 29 Sabato calendario

Anche la Bce ripensa la strategia sull’inflazione

La mossa della Federal Reserve che ha abbandonato il totem dell’inflazione al 2% riapre la sfida con la Banca centrale europea. Come si muoverà Francoforte? Seguirà la Fed americana? Ci saranno contromosse? Certo tra la Fed e la Bce ci sono rilevanti differenze, sia dal punto di vista degli obiettivi statutari, sia da quello della struttura decisionale. E «quello che fa bene alla Fed non necessariamente fa bene alla Bce», riassume una fonte autorevole. Peraltro sono stati proprio gli anni passati, di inflazione bassissima e lontana dai desiderata dei guardiani delle monete, a spingere entrambe le più potenti banche centrali del mondo a una sistematica riflessione sui propri compiti. Va detto: a breve la mossa della Fed potrebbe mettere sotto pressione i cambi, e già ieri l’euro si è ulteriormente rafforzato contro il dollaro. Ma indirettamente è stato il membro del board della Bce Philip Lane a rispondere sul rischio che l’euro forte inibisca l’export e dunque la ripresa e l’inflazione. Quest’ultima è l’unica bussola concessa ufficialmente agli europei. E dal simposio economico di Jackson Hole, lo stesso dal quale ha parlato Jerome Powell, presidente della Fed, il banchiere centrale irlandese ha ribadito che la Bce «è pronta ad adeguare tutti i suoi strumenti come appropriato». Ma allo stato attuale, né dalle imminenti nuove stime economiche né dalla riunione del 10 settembre del Comitato esecutivo di Francoforte bisogna attendersi rilevanti novità. Certo, la Bce resta vigile, pronta a usare tutto l’armamentario necessario per fare da scudo a un’economia distrutta dalla pandemia ma favorita anche – ha ricordato Lane – da una straordinaria e quasi unica convergenza in Europa tra politiche monetarie e politiche fiscali, a partire dal Recovery Fund e dagli strumenti anti-pandemia concordati a Francoforte e Bruxelles. Però va ricordato anche che, pur essendosi la Bundesbank mostrata compatta col resto della Bce in tutte le recenti decisioni, in Germania non tutti sono convinti che il piano anti-pandemia Pepp vada sfruttato fino all’ultimo euro. Insomma, la prima, rilevante differenza tra Fed e Bce resta sempre quella della sua struttura. Gli americani varano politiche che riguardano un solo Paese, gli europei diciannove.
Le novità che influenzeranno l’imminente, lungo dibattito a Francoforte su come considerare in futuro l’obiettivo unico dell’inflazione, sono presto dette. Powell ha creato dibattito non tanto sull’inflazione – i cambiamenti erano attesi da tempo – quanto sul fatto che abbia deciso che se anche dovesse superare l’obiettivo dell’occupazione e se l’inflazione dovesse essere oltre il 2%, insomma nel caso di un “overshoot” come si dice in gergo, la Fed potrebbe continuare a fare la “colomba”, pompando massicce dosi di liquidità nel sistema o mantenendo i tassi sottoterra.
Gli americani si sono concentrati su un indicatore fondamentale come il lavoro – questo non sfugge a Francoforte – in un momento in cui il terrore della disoccupazione e dei disordini sociali dominano il dibattito pubblico e la campagna elettorale per l’elezione del prossimo presidente. Ma la domanda che ci si fa alla Bce è: qual è l’orizzonte temporale del nuovo obiettivo di inflazione della Fed? Cinque anni, due, dieci? La riflessione, anche oltreoceano, è ancora in fieri su un nodo centrale.
Oltretutto questa revisione strategy review, in termini tecnici – che anche l’istituzione guidata da Christine Lagarde avvierà a breve e che si dovrebbe concludere non prima dell’estate del 2021, parte da un assunto diverso. Gli uomini di Jerome Powell hanno potuto agire su un doppio obiettivo: prezzi e occupazione. La Bce ha un solo target statutario: l’inflazione. Ed è attorno a questo obiettivo unico e inemendabile – a meno che non si cambino i Trattati – che si concentreranno le riflessioni.
Attualmente la Bce mira all’inflazione “vicina o più bassa del 2%”. Un’ipotesi discussa molto in Germania era quella di dimezzare l’obiettivo all’1%, amata dai “falchi” perché obbligherebbe ad alzare i tassi molto più velocemente. Ma le “colombe” l’hanno strozzata, fortunatamente, in culla. Un’altra idea più plausibile è quella di togliere il “vicina o bassa” dal target del 2% e sdoganare la simmetricità introdotta nella prassi da Mario Draghi. Prima di lui la Bce reagiva velocemente quando l’inflazione aumentava, alzando subito i tassi, meno rapidamente quando i prezzi calavano. Draghi ha rivoluzionato questo principio ed è possibile che venga fissato nero su bianco. Ma basterà a compensare il rilevante cambiamento introdotto dalla Fed? Probabilmente no. Ma la discussione è appena agli inizi.