il Fatto Quotidiano, 28 agosto 2020
Aristotele Onassis beveva 7 bottiglie di champagne a sera
Nella commedia dell’arte dei primissimi anni Settanta, il “ruolo” del vecchio filibustiere, gaudente, simpatico, attento alle sfumature della vita, era di Aristotele Onassis.
Lui era una certezza.
Sapevo dove trovarlo, come trovarlo, a volte con chi trovarlo, perché amava uscire, frequentare i locali, bere champagne, anche sette bottiglie di Cristal in una sera (sì, sette, non esagero); godere delle attenzioni femminili e si beava nel creare una sorta di narrazione da seduttore impenitente. Tra noi c’era un patto, stabilito da lui: “Puoi fotografare quello che vuoi, però mi devi lasciare stare quando piscio”. Sia ben chiaro: mica lo seguivo al bagno, ma amava tirarsi giù la patta per strada e appoggiarsi agli alberi. Sempre. Per me andava bene, tanto mi interessava il “dopo”: sistematicamente passeggiava per via Veneto e le vie intorno, e sistematicamente veniva abbordato dalle prostitute, tutte donne che uscivano di casa iper chic e alla guida di belle macchine. Lo seguivano. Ci scambiavano un paio di convenevoli. E lo portavano in albergo.
Lui contento, padrone. Sempre sorridente. Solo un paio di volte si scocciò: una sera avevo saputo di un appuntamento segreto tra lui e Liz Taylor in un locale romano; grazie a un amico mi introduco dalle cucine, entro e lo pizzico: la Taylor veloce nella fuga, lui immobile, e l’unica reazione fu quella di lanciarmi un bicchiere pieno di champagne. Cristal, ovvio; il secondo screzio a Montecarlo: lì non voleva fotografi, era il re, frequentava le figlie, e indossava i panni solo del grande imprenditore. A momenti mi arrestavano.
Capitolo a parte, sua moglie: lui e Jacqueline Kennedy erano una coppia strana, poco insieme, lei amava andare a Capri, viveva in barca, e scendeva solo per acquistare sandali a profusione. Con lei la noia ti poteva assalire.