Il Sole 24 Ore, 28 agosto 2020
La svolta Fed sull’inflazione
Inedita flessibilità sull’inflazione e una disoccupazione che occorre far scendere al più basso livello possibile, ben oltre le soglie considerate auspicabili in passato. Saranno questi d’ora in avanti i capisaldi della missione della politica monetaria americana per meglio sostenere l’economia. E che oggi in particolare spianano la strada a una protratta epoca, probabilmente della durata di anni, caratterizzata da tassi d’interesse ai minimi davanti alle profonde ferite inferte dalla crisi da coronavirus, escludendo ogni rialzo preventivo del costo del denaro per scongiurare future pressioni sui prezzi.
Il chairman della Federal Reserve Jerome Powell, nel corso del simposio di Jackson Hole, quest’anno interamente virtuale, ha sollevato il sipario su una nuova strategia della Banca centrale americana. Una vera e propria svolta allo studio da due anni ma divenuta più urgente davanti allo shock innescato dalla pandemia da coronavirus, che l’economia Usa continua a pagare (il Pil del secondo trimestre è stato rivisto da -9,5% a -9,1%: un lieve miglioramento ma pur sempre un calo record rispetto al trimestre precedente)
L’emergenza ha accelerato i tempi: numerosi analisti ritenevano che Powell avrebbe anticipato i contenuti della sua rivoluzione ma rinviato ogni annuncio al prossimo incontro del comitato esecutivo della Fed; invece ha rotto gli indugi, forse per evitare ambiguità. Wall Street, con l’S&P 500 già tornato su livelli record nonostante gli affanni economici, ha tratto incoraggiamento dalla codificazione del cambio di passo, approvato all’unanimità dai vertici della Fed, anche se la sostanza della riforma era considerata nelle carte e non dovrebbe tradursi in nuove, immediate mosse concrete. Il Dow Jones ha cancellato le perdite da inizio anno.
Powell ha riscritto un approccio che risaliva al 2012 e che sposava un target d’inflazione del 2%, ormai da anni parso lontano. Quell’obiettivo viene trasformato: la Fed adotterà quello che viene definito come “average inflation targeting”. Cioè un target medio del 2% che per una fase circoscritta lasci apertamente muovere gli indicatori dei prezzi sopra o sotto la soglia al fine di compensare delusioni o eccessi nel periodo precedente – una scelta che al momento esclude strette lungo orizzonti anche distanti. La Fed, nel suo documento, non ha lasciato dubbi sulle implicazioni: «Il comitato cerca di raggiungere un’inflazione media del 2% nel tempo e quindi giudica che, in seguito a periodi con inflazione in modo persistente sotto il 2%, l’appropriata politica monetaria avrà probabilmente l’obiettivo di un’inflazione subito sopra il 2% per qualche tempo». Powell ha ribadito il concetto preferendo usare il termine «moderatamente» sopra il 2% nel proprio intervento.
Non basta. Il chairman della Federal Reserve ha fatto scattare un altro, collegato, e altrettanto significativo cambiamento, sul fronte dell’occupazione. Ha sottolineato l’erosione del legame tra questa e l’inflazione, la cosiddetta curva di Phillips, tanto da permettere di puntare a continue flessioni di un “tasso naturale” di disoccupati. La Fed, ha detto, è anzi convinta che «un robusto mercato del lavoro possa essere sostenuto», al contrario del passato, senza impennate dell’inflazione e squilibri. Una bassissima disoccupazione, in altre parole, è auspicata e non genererà strette sui tassi in assenza di provata e significativa inflazione. La stessa definizione di «massima occupazione» viene rivista quale «obiettivo allargato e inclusivo», che evidenzia i vantaggi di un «forte mercato del lavoro» anzitutto per le comunità più disagiate e le minoranze etniche. Powell ha aggiunto che in futuro le decisioni della Fed terranno conto in particolare dell’esistenza di «deficit» nell’occupazione rispetto ai massimi.
Il simposio virtuale di Jackson Hole – quest’anno dedicato a “Navigating the decade ahead”, Navigare il prossimo decennio – ha visto la partecipazione in video di altri banchieri centrali internazionali accanto al leader della Fed. A cominciare da Philip Lane, capo economista della Banca centrale europea e influente esponente del suo executive board. Lane ha ieri sottolineato e difeso l’efficacia degli interventi straordinari messi in atto dalla Bce davanti all’emergenza creata dal Covid-19, allo scopo di stabilizzare i mercati e di sostenere il credito e l’economia nel suo insieme. Ma ha affermato che, se necessario, la Bce è pronta a ulteriori azioni di stimolo per scongiurare lo spettro di una grave debolezza dell’inflazione che rimanga sotto il 2% e danneggi la prospettiva di una ripresa dalla crisi.