la Repubblica, 28 agosto 2020
La Aspesi ricorda Bocca
Ma il Bocca era il Bocca! Cioè uno più su, soprattutto dei venerati colleghi del momento leggermente tromboni causa eccesso di fama. Allora era proprio così, in quegli anni ’60 i giornalisti erano come oggi i divi delle isole dei famosi, appunto famosi perché era inimmaginabile che ogni mattina non si corresse, quasi tutti, a comprare un giornale per conoscere il pensiero della firma preferita. Infatti si diceva l’ha detto il giornale, e i più svegli l’ha detto il Bocca!
Eravamo entrati al Giorno quasi contemporaneamente, col nuovo direttore Italo Pietra, lui perché già avviato a diventare una voce amatissima (o invidiata) della storia del recente passato di liberazione e di quella che preparava il futuro: politica, società, umanità, democrazia, vita. Io dovevo rappresentare una ancora molto nebulosa apertura verso la parità dei sessi del resto non ancora richiesta nelle piazze. I quotidiani erano cose molto serie, quindi erano come fortini, con un ponte levatoio che subito sprangava l’ingresso se solo faceva capolino una signora, di per sé portatrice di disordine e sciocchezze. Io sgattaiolai dentro al Giorno solo perché Adele Cambria, la bravissima pioniera, la sola sino ad allora arrivata oltre i settimanali e i mensili che contenevano pure cucina e come ti allevo il bebè, si era licenziata: ma quello era un giornale nuovo, giovane che avrebbe persino affrontato, orrore, la moda, quindi in una redazione di oltre trecento maschi, bisognava farsi forza, una donna ci voleva: le settimanaliste già celebri per stupefacenti articoli seri (mafie, tentativi di golpe, interviste a gangster, e stava per arrivare il terrorismo) dissero di no, e la casualità e un’amica mi favorirono.
Ecco, lì, in quelle stanze fumose e un po’ virilmente alcoliche dove i giornalisti arrivavano dentro i loro impermeabili stretti in vita e gli mancava il cappello per sembrare Humphrey Bogart, ogni tanto scorgevo il Bocca; e allora mi appostavo dietro le porte per sentire almeno la sua voce dura e se lui si allontanava dalla scrivania mi avvicinavo furtiva alla sua macchina da scrivere per sapere prima una delle sue storie che in poche parole descrivevano con la massima esattezza un personaggio, un fatto, un ricordo. La mia superbia era di imparare da lui, anche se poi il mio proposito si rivelò impossibile perché in me prevalse una inesausta frivolezza, una voglia di Festival del Cinema e di Sanremo, di mogli che avevano segato il marito e messo i pezzi in due valigie.
Poi capitò un evento straordinario: nonso perquale crudeltà,ci mandarono insieme a fare una inchiesta su Quarto Oggiaro: lui ovviamente doveva occuparsi della situazione sociale e politica, io del bucato delle casalinghe e delle vite familiari (allora erano unozucchero, nel senso chese anche la coppia si bastonava andava benecosì, leinon sene andava equindi lui non le dava fuoco). Fu un disastro per la mia autostima (parola che allora, saggiamente, non esisteva) mache adesso viene facile: inun giorno Bocca riuscì a parlare con non so quante persone, a raccogliere dati, a fissarsi nella mente i colori, gli odori, i suoni, del quartiere e in un baleno aveva scritto un lunghissimo pezzo, una cosa perfetta. Mi ricordo solo la sofferenza per i miei risultati meschini.
Ormai, anche quella volta contemporaneamente e per caso, eravamo stati chiamati a Repubblica e almeno io avevo lasciato volentieri un giornale con un nuovo direttore all’antica e che quindi abbassava la testa per nonessere costretto a vedere un giornalista donna: laprima redazionemilanese era piccolina e così ci si andava per caso. Però lo sguardo irritato di Bocca me lo ritrovai addosso nelle belle case borghesi che avrebbero poiinaugurato la Milanoda bere. Craxiane o comunque di sinistra, avevano tutte il loro giornalista di riferimento con cui discutere e Bocca era tra i più invitati alle cene cosiddette eleganti. Proprio perché dal punto di vista dell’abbigliamento lui elegante non era, col suo abito blu comprato ad Hong Kong, le signore lo adoravano, quella bella testa da montanaro, la voce forte, i modi spicci, l’aura del partigiano. Credo che molte si aspettassero di più ma su questo non so niente.
Lo incontravospesso nella bella casa di Mariuccia Mandelli, la Krizia del successo mondiale della nostra moda (collezioni di vetri art nouveau, grandi divani raffiguranti teste di tigre, serra di cristallo piena di piante come sala da pranzo, e in questo senso, cene eccellenti), e se flirtassero come si diceva, nessuna coppia fu più stravagante: uniti da idee di sinistra e dalla professione materna, maestra, di Bergamo quella di Mariuccia, di Cuneo quella di Giorgio, madri colte e severe, bastava il colore di una cravatta per renderli incompatibili. E così fu.
Ormai era subentrata la Silvia Giacomoni, in comune avevano di essere separati dai rispettivi coniugi, lui con una figliolina, lei con due ragazzi. Mala Silvia era, è una persona molto colta, molto intelligente, di carattere valtellinese, sbrigativo ed essenziale. Entrò vittoriosa nella vita di Bocca, sostituendo con la sua sapienza la di lui sorella Anna, pure lei coltissima, che gli dava una mano: oggi la signora Anna vive a Torino, ha 105 anni e fa ancora un ricco uso del suo sapere enciclopedico. Coppia infrangibile, quella di Giorgio e Silvia, uno necessario all’altra e viceversa, anche nella collaborazione professionale, nella bravura di lei a fare ricerche per lui, e nel piacere di lui ad arricchire il sapere di lei.
La comparsa di Silvia nella sua vita lo aveva anche rabbonito nei miei confronti. Cominciò a rivolgermi la parola, a darmi consigli per il mio bene, per aiutarmi a permettergli di accettarmi. E per esempio, è vero, io, sbagliando, amavo vestirmi come se fossi stata bella (e non lo ero ovvio) e lui mi diceva, bonario: «Natalia tu non saresti male ma dovresti vestire come la Silvia, con quelle belle gonne larghe di tweed sotto il ginocchio, da signora». Sperava anche in un eventuale mio successo professionale: «Tu non scrivi proprio male, ma perché non chiedi alla Silvia di aiutarti nella sintassi?» La Silvia divenne così il mio angelo custode nei rapporti con la famiglia Bocca e lui un paio di volte accettò persino che lei mi invitasse a pranzo; fu in queste occasioni che imparai a farmi schiavizzare dal formaggio.
Alla fine del ricco pasto consumato in una strepitosa cucina da architetto arrivò un tagliere con pezzoni di vari formaggi molto odorosi, a me sconosciuti: ne tagliò parecchie fette per lui, per Silvia e per me e da allora sono ingrassata.