Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  agosto 28 Venerdì calendario

Intervista a Michele Bauli

Alberto Bauli, il "signor Bauli", amava mettersi in posa per le foto con la mano destra appoggiata sulla confezione lilla del suo pandoro. Una coccola pubblica a quello che è in nucleo di una delle più grandi fortune nell’industria dolciaria italiana. La veronese Bauli, nel 2022, taglierà il traguardo del secolo di vita ma il capitano al timone della nave è cambiato, segno tangibile di un passaggio generazionale in atto da tempo. L’11 agosto scorso Alberto Bauli è mancato e così adesso, dopo 25 anni, il "signor Bauli" è uno dei nipoti.
Michele Bauli, 51 anni, sposato, padre di tre figli, bocconiano, a capo di Confindustria Verona, è il nuovo presidente. «Ma non chiamatemi capitano, la nostra forza è la famiglia.
Tutti noi siamo cresciuti con questo patrimonio che abbiamo l’onore di gestire e il dovere di difendere», dice sistemandosi davanti alla bacheca dei prodotti entrati a far parte della galassia Bauli: pandori, panettoni, biscotti, crackers, merendine. In un attimo scorrono le immagini degli spot che hanno reso celebre questa azienda, con i bambini che cantano le canzoni del Natale, i caminetti accesi, il calore domestico. Magari anche immagini stereotipate ma fuse a caldo con la tradizione italiana.
Cambiano slogan e linguaggi visuali ma il protagonista resta sempre lui: quel burroso, vanigliato e soffice tronchetto ricoperto di zucchero a velo. Il pandoro, dolce di Verona.
Come si sente nei panni del signor Bauli?
«Ripeto, c’è la famiglia Bauli.
Continuiamo a fare ciò che abbiamo sempre fatto. Mio zio aveva una visione di lungo periodo che tutti noi cerchiamo di imitare. Cosa sarà Bauli domani? A rispondere a questa domanda ci pensano i manager. Noi dobbiamo capire cosa sarà Bauli tra dieci anni».
Ecco, cosa sarà?
«Mio nonno Ruggero ha creato un marchio importante, i suoi tre figli ne hanno fatto un’azienda nazionale leader nella ricorrenza, noi dobbiamo renderla internazionale.
Espandersi fuori dall’Italia non è facile, perché si tratta di vendere anche la tradizione italiana, laddove ognuno ha già la sua. Attualmente esportiamo in Europa, India e Nord America. È il 20 per cento del fatturato. E si badi bene: non è facile battere il panettone, che è ben più antico del pandoro».
Dunque fu il nonno Ruggero l’origine di tutto?
«Era figlio di un fornaio. Dopo la prima guerra mondiale emigrò a Buenos Aires e trovò lavoro in una pasticceria. Tornò in Italia nel 1922 e aprì un suo forno a Verona, in via Scala. Ebbe una grande intuizione».
Quale?
«Si era specializzato nel pandoro, dolce tipico di Verona, che però ha una caratteristica: una lavorazione lunghissima. Servono 40 ore di lievitazione. Gli altri attendevano quel tempo prima di cimentarsi nel nuovo impasto. Anche lui rispettava le 40 ore ma, mandando a regime il metabolismo dei lieviti, riuscì ad avere ogni 20 minuti un preparato per 500 pandori. Fu una crescita esponenziale».
Ruggero aveva quattro figli.
«Alberto, mio padre Adriano, Carlo e Rosa Maria. Mio nonno aveva imparato il mestiere lavorando, i figli fecero anche un percorso di studio in Economia, Giurisprudenza, Farmacia. Comprarono un capannone e inventarono la produzione industriale investendo su macchinari e persone. Nel frattempo a Milano c’erano due mostri sacri: Motta e Alemagna.
Gioacchino Alemagna, all’epoca, regalava il panettone al presidente della Repubblica».
I fratelli si divisero i compiti...
«Fino agli anni ‘80 Carlo era il direttore acquisti, Adriano il direttore tecnico e Alberto il volto dell’azienda. Quanto a mia zia Rosa Maria, è stata strategica per un’idea: il colore. Inizialmente i pacchi dei pandori erano verdi. Fu lei a scegliere il lilla. Non era un colore alimentare ma fece la differenza perché ci distinse dagli altri. E oggi il pacco lilla siamo noi».
Quella di Bauli è anche una storia di acquisizioni.
«Apparivamo a Natale e poi scomparivamo fino all’anno successivo. Poi aggiungemmo Pasqua, con la colomba. Ma non potevamo limitare l’attività dell’azienda a due ricorrenze l’anno. Mio zio Alberto volle dare continuità e si buttò nelle brioche. Per vent’anni, ogni volta che cambiava l’amministratore delegato di Nestlè, andava a presentarsi e chiedeva di comprare Motta e Alemagna. Fino a che un giorno ci chiamarono e ci proposero la vendita dei due mostri sacri. Con Doria e Bistefani abbiamo completato la gamma, ora siamo presenti tutto l’anno».
Quale fu, secondo lei, la svolta?
«All’inizio degli anni ‘80 i tre fratelli decisero di affidarsi a manager esterni, professionisti in grado di avere una visione terza. Alberto, Adriano e Carlo rimasero in cda ma si affidarono ai dirigenti».
Cos’è oggi Bauli?
«È un’azienda con 500 milioni di fatturato e stabilimenti a Verona, Treviso, Cremona, Lucca e uno in India per il mercato indiano».
Come si arriva a lei?
«Sono entrato in azienda 22 anni fa e sono sempre stato accanto a mio zio. Quando andò in pensione lo storico amministratore delegato, 6 anni fa, mi disse: il prossimo sceglilo tu. Tre anni fa fui nominato presidente».
E il resto della famiglia?
«Noi cugini siamo in cda e ci siamo divisi i compiti. C’è chi presidia il settore ricerca e sviluppo, chi si occupa del mercato americano.
Discutiamo tanto, ci confrontiamo e ogni anno a Natale compriamo tutti i panettoni e pandori sul mercato per confrontarli con i nostri».
Confessi: le piace la vaniglia?
«L’adoro, è il profumo della mia vita».