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 2020  agosto 27 Giovedì calendario

L’assurdo Mistero Buffo della censura a Dario Fo

Il programma del festival teatrale organizzato a Massa Martana, in provincia di Perugia, prevedeva la messa in scena del “Primo miracolo di Gesù Bambino”, una giullarata tratta dal Mistero Buffo di Dario Fo. Lo spettacolo, prodotto dal Teatro Stabile di Torino è già stato portato al pubblico innumerevoli volte. Tuttavia, come hanno fatto sapere il regista Eugenio Allegri e l’attore Matthias Martelli, l’amministrazione comunale “si è opposta alla realizzazione dello spettacolo in quanto non lo ritengono adeguato (per i temi attinenti alla religione cattolica) alla loro popolazione”.
La vicenda, giustamente segnalata da La Stampa, riguarda la libertà di espressione, l’ammissibilità di limiti, il ruolo dei poteri pubblici. La Costituzione vieta le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume e la Convenzione europea dei diritti fondamentali, che l’Italia è tenuta a osservare, ammette restrizioni necessarie per la protezione della morale. Ma non di questo si trattava nello spettacolo che era stato programmato, cosicché non è nemmeno necessario affrontare il tema del rapporto tra arte e morale, tra arte e osceno. O anche discutere il difficile contenuto della morale, nel suo sviluppo temporale e locale, ove le opinioni diffuse nella popolazione hanno peso e si confrontano con la libertà da riconoscere alle minoranze. Infatti la motivazione del ritiro della autorizzazione richiama altro: una inquietante valutazione di non “adeguatezza alla popolazione”, dati i temi trattati, relativi alla religione cattolica. La adeguatezza che l’amministrazione comunale nega, se le parole hanno un senso, parrebbe riferirsi alla minorità, incapacità di comprendere, insufficiente raziocinio della popolazione locale. E c’è da chiedersi se il testo sia inadeguato a quel pubblico o, nel pensiero dell’amministrazione comunale, inadeguata sia invece la popolazione. In ogni caso si tratta di una curiosa assunzione di un ruolo estraneo a quello proprio di un sindaco e probabilmente di qualunque autorità pubblica. Viene in mente una sentenza della Corte europea dei diritti umani che, in altra materia, ritenne giustificata la legislazione irlandese estremamente restrittiva in tema di aborto (ammesso solo quando fosse in gioco la vita stessa della donna), perché corrispondente alle idee morali profonde proprie del popolo irlandese. Di lì a poco, con un referendum il popolo irlandese abrogò quella legislazione. È una vicenda che dovrebbe insegnare cautela da parte di autorità pubbliche nel dichiarare quale sia l’atteggiamento del popolo in materia morale e religiosa. E poi, comunque, occorrerebbe considerare che è impossibile assegnare un’unica posizione, un unico contenuto al popolo nel suo complesso: fortunatamente su ogni tema e tanto più in materia morale e religiosa le società moderne e democratiche sono articolate e plurali. Persino la identificazione di una posizione che sarebbe propria della maggioranza non è seriamente possibile: la popolazione di Massa Martana, quella dell’Umbria, quella italiana nel suo complesso, sono cattoliche? In che senso? Seguono, nella loro vita o nel loro cuore le direttive delle autorità ecclesiastiche? E quali sono tali direttive in rapporto ad un testo come quello che si voleva mettere in scena nel festival di Massa Martana? Esercizio dunque impossibile da parte di un sindaco che non è stato eletto per quello ed esercizio comunque abusivo, poiché la libertà di espressione spetta a ciascuno, anche quando si trovi in minoranza. Essa non dipende dal buon volere della maggioranza e dal suo desiderio di non essere disturbata. Alla libertà di espressione corrisponde la libertà -non l’obbligo, evidentemente- di ricevere informazioni, sentire argomenti, assistere a manifestazioni culturali. Non si può esser costretti, ma nemmeno si può essere impediti dal farlo.
La libertà di espressione costituisce uno dei fondamenti essenziali della società democratica, una delle condizioni fondamentali del suo progresso e dello sviluppo della personalità di ciascuno. Essa vale non soltanto per le informazioni o le idee che sono accolte con favore o sono considerate inoffensive o indifferenti, ma anche per quelle che urtano, colpiscono, inquietano una qualunque parte della popolazione. È questa un’esigenza propria del pluralismo, della tolleranza e dello spirito di apertura senza i quali non esiste società democratica. Escluse le espressioni di razzismo, odio verso gli altri, incitazione alla violenza, la libertà di espressione è massima. E non spetta ad alcuno di impedirne l’esercizio se ritiene che essa non sia “adeguata” ad una popolazione che, comunque, può a sua volta esercitare la sua libertà di non assistere a spettacoli, non ricevere messaggi che le sono spiacevoli. Cosicché è persino ultronea la difesa svolta dal regista e dall’attore, che hanno respinto la valutazione del Comune di Massa Martana, sostenendo che il testo in realtà corrisponde ad una tradizionale religiosità popolare. Non è per questo che essi hanno diritto a veder rispettata la loro libertà di espressione e coloro che avevano intenzione di assistere allo spettacolo la libertà di farlo.
L’episodio potrebbe esser ritenuto minore e non meritevole di gran pubblicità. E invece va visto come un campanello d’allarme. Assegnando a Dario Fo il Nobel per la letteratura l’Accademia di Svezia l’ha motivato dicendo: “Perché, seguendo la tradizione dei giullari medioevali, dileggia il potere per restituire dignità agli oppressi”. Un’amministrazione che apre o chiude l’accesso alla tribuna pubblica, sceglie una via autoritaria e crede di poter impunemente dettare cosa si può dire e cosa non si può. La reattività rispetto a un simile atteggiamento deve essere massima.