ItaliaOggi, 27 agosto 2020
Periscopio
Gli imprenditori stanno pagando, e duramente, aI rischio di fallire. Anche in politica, non può essere un impedimento a osare. Certo, sarebbe stato più comodo restare nel Pd e fare il controcanto piuttosto che provare a dare una casa ai riformisti. Carlo Calenda, leader di Azione (Alessandro Trocino). Corsera.
Noi siamo componenti fondamentali della Nato. Questo è importante. Detto questo bisogna avere rapporti costruttivi con la Cina. Se fossimo intelligenti e capaci, noi saremmo già il porto di arrivo in Europa, non solo della Cina ma di tutto il mercato asiatico. Romano Prodi. Corsera.
Monica Maggioni, inviata di guerra, veterana Rai di mille battaglie sui fronti più disparati non tutti bellici in seno stretto. La prima volta che mi incontra, con lo sguardo diritto come in un giuramento, solenne annuncia: questa azienda è uno schifo, io la conosco bene. «Ma adesso la scaravoltiamo. Cambiamo tutto. Capito?». Carlo Verdelli, Roma non perdona. Feltrinelli. 2019.
Non credo in Dio, ma ogni tanto recito una preghiera ebraica. Alla morte cerco di non pensare; ma a cent’anni è difficile non farlo. Qualche volta prevale la paura, qualche altra la curiosità. Perché voglio proprio vedere cosa c’è dall’altra parte. Franca Valeri, attrice (Aldo Cazzullo). Corsera.
Guardavo, un tempo, con simpatia alla Lega. Quel sentimento nasceva dal fatto che, a un certo punto, la Lega è diventata lo spauracchio di tutto quello che io detesto. Mi sono detto: «Se tutti li odiano io devo stare con loro!» (ride). Quello della politica però è un discorso davvero banale e dopo il Covid lo è ancora di più. Io sono sempre stato «estremista» o «alternativo», per usare delle parole degli anni 70, e per due o tre anni è stato bello andare al bar e votare tutti per la Lega e farci un sacco di risate perché la Lega era lo spauracchio di tutto ciò che i montanari non sopportano e lo sostenevamo con piacere e un po’ di furfantaggine. Giovanni Lindo Ferretti, dressatore di cavalli e musicista. (Luca Valtorta). Repubblica.
Il virus ha portato con sé un orrendo collega: il vairus. Il 16 febbraio dell’anno in corso, all’affacciarsi del Covid 19 nelle nostre miserabili vite, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, annunciò infatti: «Ogni Stato membro sta adottando delle misure rispetto alla vicenda e all’emergenza del coronavairus». Non c’era stata ancora una vittima umana, ma fu chiaro che l’italiano era già stato ucciso. Virus vuol dire veleno, ed è parola latina. Perché pronunciarlo all’inglese? Quando non si sa l’italiano, si indossa la maschera anglosassone. È come una parola magica. Ti trasferisce dal mondo del caciocavallo, che ignora i congiuntivi, a quello ipertecnologico della Silicon Valley, dove c’è sempre un algoritmo, una paroletta cyber che ti consente di mascherare la fuffa. Renato Farina. Libero.
«Non ho ben capito se lei sia italiano o apolide», gli dico, piuttosto confuso. «Daverio è un cognome presente a Milano già nei censimenti del 1300 e un avo fu eroe delle Cinque Giornate. Mio nonno lasciò l’Italia per l’Alsazia dopo l’unità perché, seguace di Carlo Cattaneo, preferiva il federalismo. Ma rimase tanto lombardo da costruire in Alsazia un Sacromonte come quello di Varese e da fare nascere suo figlio (mio padre) a Milano per riportarlo poi subito a Mulhouse. Così, siamo cresciuti io e i miei cinque fratelli, uno dei quali è tra i più noti chirurghi plastici svizzeri». Philippe Daverio, storico dell’arte (Giancarlo Perna). Libero.
Ai suoi tempi gente come Sordi, Mastroianni, Manfredi riconoscevano a Gassman una autorevolezza unica. «Zitti, arriva Vittorio». Giulio Base, regista, allievo e amico di Vittorio Gassman (Stefano Baldolini). Huffington.
A Paperopoli non ci sono che legami di sangue. È tutto un nipotame, un parentume. Paperone quando rimprovera Paperino gli rinfaccia sempre di essere «carne della mia carne, piume delle mie piume». A Topolinia è diverso: pochissimi i legami parentali, c’è l’amicizia, c’è la lealtà. La famiglia lì te la scegli. Tito Faraci, sceneggiatore di fumetti (Roberta Scorranese), Corsera.
È passato troppo tempo; i miei ricordi sono imprecisi. Sovente capita di credere di aver visto o sentito quello che si è solamente sognato. Luigi Preti, Un ebreo nel fascismo. Rusconi 1974.
Quando i servizi entrano in azione per conto di qualcuno, quasi sempre altri servizi cominciano a lavorare per conto di qualcun altro. Aldo Cazzullo e Fabrizio Roncone, Peccati immortali. Mondadori.
Da piccolo, a San Giacomo, seguivo nella vigna, Gianin del Nido, che, mentre lavorava, raccontava, per ore, bellissime favole che mi lasciavano incantato. Lo seguivo anche nel bosco, dove, su indicazione di mio padre, eseguiva lavori di rustica falegnameria, panchine, poltrone con leggìo, persino un ponte, oggi ancora praticabile. Giulio Einaudi, Frammenti di memoria. Rizzoli, 1988.
«Gli stessi gerarchi e persino Mussolini» conveniva il tenente Decio «sono tornati sulla scena malvolentieri, proprio perché tiratici per i capelli dai tedeschi. Questa è la mia impressione». «Per i capelli Mussolini?» non mancò, malgrado tutto, di scherzare Ambrogio: «Perché ? Gli sono ricresciuti?». Eugenio Corti, Il cavallo rosso. Ares. 1983. 33ma edizione.
Al Parini c’era un preside autoritario ma anche Maria Teresa Torre Rossi, la prof accusata di parlare di Mao in classe. Fu lei a svegliare la mia vocazione. Era molto legata al Piccolo di Paolo Grassi e Giorgio Strehler. Un giorno ci portò a teatro e ci fece scrivere un tema. Grassi lesse il mio e volle conoscermi: «Ti piacerebbe collaborare con noi?». Era una macchina da guerra disciplinatissima, Grassi: qualsiasi cosa facessi, ti mandava un biglietto con complimenti o critiche. Dava il meglio nelle telefonate in cui esibiva, con nonchalance, il tal teatro di Zurigo o dell’Ensemble di Brecht. Salvatore Veca, filosofo. (Pierluigi Vercesi).
Viaggiare, ai tempi di Chatwin, voleva ancora dire comunicare e spostarsi con difficoltà, così come spesso era dura chiamare qualcuno a casa. Afghanistan, Cina, India, Laos, Iran, Cile, l’outback australiano: il viaggio ti inghiottiva, ti masticava. Tornavi (quando tornavi) che non eri più lo stesso. Con l’elogio della fuga, Chatwin raccontò a una generazione inquieta (forgiata tra il ’68 e il ’77, volendo semplificare) quello che voleva sentirsi dire. Quasi un «elogio della fuga», come avrebbe detto Henry Laborit: «In tempi come questi la fuga è l’unico mezzo per mantenersi vivi e continuare a sognare». Maurizio Pilotti. Libertà.
Solo la morte di uno dei partner rende eterno un amore. Roberto. Gervaso. il Messaggero.