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 2020  agosto 27 Giovedì calendario

Manie e ansie di Giovanni Allevi. Intervista

Ma Allevi c’è o ci fa? Chi non se lo è chiesto almeno una volta guardando le sue intervista in tv o i video che il compositore pubblica sui canali social ufficiali, talvolta oggetto di parodie (come quello in cui, lo scorso ottobre, invitava i fan a replicare la foto della copertina del suo ultimo disco, Hope, facendosi ritrarre «con la vegetazione in testa»)? Il nuovo libro del 51enne pianista ascolano, Revoluzione, da oggi in libreria per Solferino (lo presenterà sabato 29, alle 19, all’Ulisse Fest di Rimini), non scioglie i dubbi. Ma permette di conoscere più da vicino il mondo di Giovanni Allevi, amatissimo dal pubblico (gli album No concept, Joy ed Evolution, più di 350 mila copie vendute, tra il 2005 e il 2008 gli spalancarono il successo internazionale) e odiato dai colleghi, che hanno sempre messo in dubbio la sua appartenenza al circuito della classica (dal violinista Uto Ughi all’arpista Cecilia Chailly): tra crisi, disturbi ossessivo-compulsivi, l’ostilità dei colleghi e visioni religiose, il pianista si racconta. 
Cosa l’ha spinta a rivelare le sue fragilità? 
«La voglia di raccontare il percorso che mi ha portato a ritrovare la serenità dopo un evento traumatico, affinché possa essere d’aiuto agli altri». 
Cosa le è successo? 
«Una crisi d’ansia: durante un concerto in Giappone, lo scorso anno, le dita iniziarono a tremare all’impazzata». 
Come reagì? 
«Portai a termine l’esibizione. Tornato a casa, però, mi misi in discussione, analizzando le mie fragilità». 
Quali sono? 
«Nella vita quotidiana compio rituali maniacali, ripetitivi e ossessivi. Ho bisogno di certezze: provo sollievo a ripetere sempre gli stessi gesti». 
Perché? 
«Credo si tratti di un comportamento di compensazione al senso del dovere che ho sviluppato a causa degli studi, che impongono rigore e disciplina». 
Il lockdown ha alimentato l’ansia? 
«Sì. Pensavo che la mia carriera fosse finita: le prime notizie non erano rassicuranti sulla ripresa degli spettacoli nel giro di pochi mesi». 
Così non è stato. Quest’estate c’è chi ha organizzato concerti in sicurezza. E anche chi, senza rispettare le norme, ha tenuto serate in discoteche strapiene: cosa ne pensa? 
«I ragazzi esorcizzano la paura del futuro ballando. Sono i più colpiti dalla crisi causata dal coronavirus. Pur condannando questo atteggiamento, bisogna comprenderli». 
Lei com’era da ragazzo? 
«Un disadattato. Immerso totalmente negli studi, ero una preda facile per i bulli. Una volta all’uscita da scuola trovai la mia bici incastrata su un albero. I tanti dispetti subiti mi hanno spinto a cercare una rivincita con la musica».
Nel libro parla anche di strane visioni, come quella di una croce infuocata. Che significato le attribuisce? 
«Alla sofferenza provata da chi ha voluto rompere le regole e portarne il peso: Cristo è una figura emblematica, ma in fondo tutti portiamo una croce». 
La sua qual è? 
«Aver commesso, agli occhi degli altri musicisti colti, un peccato di lesa maestà nei confronti del passato per aver scardinato la musica classica rendendola accessibile ai più giovani: mi considerano un eretico». 
Questo ha a che fare con la crisi subita durante il concerto in Giappone? 
«In parte. Ho capito che la mia ansia è quella di chi decide di infrangere gli schemi e si sente esposto. L’ho combattuta prendendomi cura di una pianta e parlandole». 
Parlandole? 
«Sì. Un giorno mi sono sentito chiamare: Accudiscimi. Noi siamo portati a pensare che parlare con una pianta sia un gesto ingenuo, da signore anziane o bambini. Io ho deciso di mettermi in ascolto». 
Senta, lei c’è o ci fa? 
«Una volta ho letto un commento su Instagram: Sei talmente vero da sembrare finto». 
Non è una risposta. 
«In una società conformista come la nostra, dove tutti siamo portati ad omologarci, nel momento in cui ti mostri agli altri in tutta la tua autenticità vieni automaticamente definito uno strano. Io non recito».