Il Messaggero, 27 agosto 2020
Intervista allo scrittore Guillaume Musso
Vladimir Nabokov voleva che i suoi personaggi gli obbedissero ciecamente. E sono numerosi gli autori che si siedono davanti al foglio bianco per mettere in ordine la realtà, per dare un senso al caos della vita vera. Una tentazione da demiurgo cui è difficile sottrarsi. Da quindici anni, Guillaume Musso scrive bestseller (a partire dal primo, nel 2004, L’uomo che pensava di non avere più tempo) è l’autore francese piu venduto al mondo e nei suoi romanzi pieni di suspense e sentimenti ricordiamo La ragazza e la notte, Salvami e La vita segreta degli scrittori – si interroga, apertamente, sul dilemma della creazione con meccanismi narrativi perfetti. Meglio un mondo artefatto ma perfetto o la realtà composita e indomabile? «Non esiste un tasto off afferma il romanziere classe 74 al punto che anche quando non scrivo, sto scrivendo sempre». Il suo nuovo romanzo La vita è un romanzo, in uscita oggi per La nave di Teseo (272 pagine, 18 euro, tr. Sergio Arecco) già bestseller in Francia – è un duello fra due scrittori di successo – Romain Ozorski e Flora Conway che vivono un dramma personale e si interrogano sulla finzione, sul dilemma centrale per ogni grande autore: è meglio vivere o scrivere? Ma c’è spazio anche per raccontare il ruolo degli editori nel costruire il successo, omaggiare i grandi autori da Simenon a Gary e affrontare di petto la crociata del politicamente corretto: «Sui social è tutto bianco o nero, binario e semplicistico ma l’essere umano è complesso, preda di desideri contrari, con una vita mentale a volte caotica».
Due celebri scrittori si mettono a nudo in pagina, affrontando i propri demoni. Come ha costruito questa struttura narrativa?
«Volevo scrivere una storia sull’illusione, sul conflitto tra realtà e finzione. Così ho iniziato a lavorare con due personaggi, Flora Conway, una famosa scrittrice americana, la cui bambina è scomparsa in condizioni misteriose. E Romain Ozorski, altrettanto famoso scrittore francesediciamo che ognuno ha una chiave per la vita dell’altro. E mentre scrivevo, un terzo personaggio, l’editore di Flora Conway, ha preso piede. E alla fine ci sono tre prospettive, tre atti e tre voci».
Flora Conway snobba giornalisti e premi. L’anonimato è una scelta che la affascina?
«Sono sempre stato affascinato da questi romanzieri capaci di stabilire le proprie regole, capaci di uscire dal rito della promozione per ottenere gradi di libertà. Anche se, per una sorta di effetto perverso, più alcuni cercano di allontanarsi dalla scena letteraria, più attirano la curiosità sulle misteriose motivazioni che li spingono a ritrarsi. Non solo Elena Ferrante ma J.D. Salinger, Milan Kundera, Philip Roth E soprattutto Romain Gary, al quale il mio nuovo romanzo rende omaggio».
Scrive per avere un potere assoluto sui personaggi, come Nabokov, o li guarda agire liberamente?
«Abbiamo un controllo molto imperfetto sulle nostre vite, grande è la tentazione di immaginare che lo scrittore possa correggere le imperfezioni, descrivendo la realtà non così com’è, ma come dovrebbe essere. Nabokov affermò che i suoi personaggi erano schiavi della galera che dovevano obbedirgli ciecamente. Ma a volte capita al romanziere di imbattersi in personaggi recalcitranti che vorrebbero emanciparsi!»
Questo è l’intero tema del nuovo romanzo?
«Esattamente. Un autore e il suo personaggio che combattono per il potere decisionale sulla storia. In ogni caso, per quindici anni, mi sono chiesto, sedendomi tutte le mattine davanti al computer: cosa mi riserveranno oggi i miei personaggi? E ho una sola regola di scrittura, quella di provare sempre a scrivere il romanzo che vorrei leggere da lettore».
Nei suoi ultimi libri, La ragazza di Brooklyn, La vita segreta degli scrittori e ora, La vita è un romanzo, troviamo uno scrittore ad un bivio esistenziale. È meglio la realtà o la finzione?
«La scrittura ha occupato la maggior parte della mia vita per vent’anni e non me ne pento assolutamente. Oggi è una seconda natura, al punto che anche quando non scrivo, sto scrivendo e non esiste un pulsante off. Sì, a volte il mondo fantastico diventa più importante del mondo reale ma non voglio che la mia vita letteraria interferisca con la mia vita familiare».
Dunque?
«Devi essere in grado di stabilire regole e rispettarle. Ho trovato un equilibrio quando ho deciso di non di scrivere la sera. Altrimenti, penso che scriverei sempre».
Nei suoi ultimi due romanzi commenta il ruolo degli editori e intanto, le scuole di scrittura abbondano. Cosa significa?
«Vede, la lettura è in costante declino da quasi mezzo secolo eppure tutti hanno voglia di scrivere. In Francia la quota di lettori regolari nella popolazione è scesa dal 28% nel 1973 al 15% nel 2018. Personalmente, cerco di vedere questa situazione come una sfida: cercare di far desiderare al mio lettore di trascorrere la sua serata con il mio romanzo anziché guardando Netflix».
Il suo protagonista è stanco del politically correct. Scrivere un romanzo oggi significa accettare il rischio di essere analizzati al microscopio dalla censura social?
«Kundera ha detto: Lo spirito del romanzo è lo spirito della complessità. Il problema è che sui social network e nel confronto pubblico, piombiamo in una riflessione binaria e semplicistica, ogni cosa è bianca o nera... Ma l’essenza dell’essere umano è la complessità, siamo attraversati da desideri contrari, con una vita mentale caotica. Ma tutto questo viene spazzato via in nome della trasparenza».
Oggi Celine o Henry Miller verrebbero pubblicati?
«Dovrebbe chiederlo agli editori».
Dany Laferrière afferma che la prima qualità di uno scrittore è avere un culo resistente. Concorda?
«Mi piace molto questa frase ammiccante, ci dice che la scrittura ha un lato artigianale, un aspetto che amo. La sensazione di passare seduto magari tutta la giornata in un laboratorio, di avere tempo per provare, di lavorare a un ritmo scelto, di lucidare un testo come se fosse un pezzo di ferro. La padronanza di questo processo, il fatto di non avere altri vincoli se non quelli del girovagare nella mia storia, rendono queste lunghe ore di lavoro piacevoli e intellettualmente gratificanti».
I suoi libri sono pieni di frasi, citazioni e tributi a famosi scrittori. Vita contro romanzo, chi vince alla fine?
«Questo argomento mi appassiona da quasi vent’anni. Tendo ancora a pensare che se parliamo dell’esistenza di un uomo, come individuo, sia sempre la vita a vincere. Non necessariamente per il suo bene, comunque. Ma la finzione ha il vantaggio di non morire con il suo creatore e di poter durare per molte vite, indipendentemente dal tempo o dallo spazio. Alla fine, quindi, è la più potente».