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 2020  agosto 27 Giovedì calendario

Un documentario sulla storia dei Rossellini

È il 7 giugno 1977 e Roberto Rossellini, 71 anni, pilastro eterno del cinema mondiale, ha il funerale delle celebrità, mezza Roma e forse mezzo mondo a piangerlo: per il solo capolavoro, Roma città aperta, per i suoi scandali d’amore internazionali: tre mogli (senza contare le precedenti compagne) e allora non era così facile, sette figli, il maggiore morto bambino, il penultimo adottato. E un amato nipotino ricciuto e un po’ nero, figlio del secondogenito Renzo nato dal primo matrimonio con l’unico saldo rifugio di famiglia, che era Marcella De Marchis.
Oggi Alessandro Rossellini ha 57 anni, è risorto da un passato di disordine e dolore e ha girato il suo primo film, The Rossellinis, un lungo documentario inaspettato, tenero e crudele, che viaggiando nella diaspora rosselliniana ne ricostruisce i fantasmi, rivelando i meccanismi sempre uguali di tutte le famiglie, della famiglia: che protegge e ferisce, unisce e separa, rassicura e indebolisce, crea amore e disamore, sicurezza e fragilità, grande equilibrio, grande disordine, grande dolore. Al centro della fragile eppure resistente ragnatela c’è lui, il grande ragno, che tutto vede, tutto pretende, tutto impone: il padre-padrone, il nonno-sovrano, e infatti, dice oggi il nipote, «il film che più gli assomiglia è La presa del potere da parte di Luigi XIV, il sovrano assoluto cui tutto è dovuto, e noi i suoi cortigiani, indifesi e in guerra tra noi per conquistare i suoi favori». Da solo, con uno zaino e la macchina da presa, Alessandro inizia il suo pellegrinaggio nel labirinto familiare da uno scoglio nel Mar Baltico, tutto occupato da una capanna di legno e imprigionato dall’acqua gelida del Nord. Ci vive da tempo, recluso e completamente solo, un Rossellini tuttora molto fascinoso, aitante, dai bei capelli grigi e folti: si chiamava Robertino, oggi Robin, e ha 70 anni che sembrano felici. D’inverno la guardia marina svedese lo obbliga a tornare in terraferma. Dice: «Mamma (Ingrid Bergman) temeva che diventassi un playboy», il padre che diventasse gay e adolescente lo affidò con successo a una buona signora. «Ho ancora un incubo ricorrente, quando papà mi obbligò a vedere il suo film Giovanna d’Arco al rogo, io avevo 4 anni e gridavo di paura a vedere mamma prigioniera tra le fiamme, che soffriva e sudava». Anche zia Isabella oggi vive isolata, a Bellport, Long Island, in una costruzione di legno tinta di rosso che un tempo era una stalla e adesso è una specie di grande monolocale confortevole, immerso nella foresta. A 68 anni è nonna del piccolo Ronin, figlio di sua figlia Elettra Wiedemann (che non parla italiano) e dell’attore Caleb Lane, sfuggiti alla nemesi di chiamarsi Rossellini. Isabella ha sempre il sorriso felice che le ha facilitato la vita, è ingrassata a differenza della gemella Isotta, oggi una elegante signora sottile, critica letteraria e docente di letteratura a Princeton, che si è rasata la testa (e sta benissimo) per una recente chemioterapia. Oggi è Isabella la chioccia di famiglia e infatti è lei che un giorno afferrò Alessandro, perso da anni nella droga, e lo trascinò da Roma in una clinica di riabilitazione nel Texas, salvandolo: «E mi avevi imbrogliato, mi avevi ferito, chiedendomi una montagna di soldi perché ti era nata una bambina, e tu ti sei comprato un Rolex e un cappotto di cammello». La vita di Alessandro è stata molto travagliata, sua madre era Katherine Brown, una bellissima ballerina afroamericana, ex flirt di Alain Delon, che aveva vissuto con Renzo Rossellini il tempo di concepire e far nascere il bambino. Ma troppo era il disordine degli intrecci familiari, delle gelosie, delle rivalse, delle solitudini, dell’assedio dei flash, e senza l’attenzione di quel nonno amorevole, si fa in fretta a trovare una scusa per colpevolizzare gli altri e lasciarsi andare.
Roberto Rossellini era il tipico maschio italiano di quegli anni, oggi il MeToo lo avrebbe crocifisso e forse i suoi film sarebbero introvabili: la sua specialità era prendersi le mogli degli altri; grassoccio e stempiato le donne se ne innamoravano in un baleno, proprio per il suo imperio, la sua gelosia, ciò che trasformava l’amore in un meraviglioso melodramma, nell’angoscia del mirabile peccato. C’era cascata la bellissima, celebre svedese Bergman, ci cascò l’indiana Sonali Das Gupta che seguì il regista in Italia, portando con sé il neonato Gil: ammesso nella nursery di famiglia e adottato, si perse d’amore per il nuovo padre e si rovinò la vita. Corre bambino con un aquilone, si arrampica sul padre ma, dice Alessandro, «era troppo scuro per essere accettato e qualcuno gli disse che non era un vero Rossellini». Diventò un uomo grande, bello, elegantissimo, naturalmente produttore e regista, tutte le droghe erano sue, la cocaina se la iniettava quotidianamente: il film mostra le immagini crude della malattia che dopo anni di sofferenze lo ha ucciso a 52 anni.
La signora con la testa chiusa in una sciarpa che Alessandro incontra è la zia più giovane, 62 anni, l’ultima figlia di Roberto, a Doha, in Qatar, in una finta Venezia con il ponte dei sospiri, i canali percorsi dalle gondole elettriche con gondolieri in maglietta d’ordinanza a righe rosse e bianche: si chiamava Raffaella, figlia di Sonali e Roberto, adesso Nur, si è convertita all’Islam, pare la più serena dei Rossellini, pur ricordando una famiglia che non c’era, che le creava insicurezza «nella competizione per l’amore di papà, nel nostro perenne conflitto che ci impediva ogni contatto». Alessandro finisce la sua analisi psicanalitica andando, dopo 8 anni, a riconciliarsi con sua madre che vive in una costosa casa di riposo a New York, ha vaghi ricordi di un Roberto Rossellini nemico come la sua prima moglie, si fa portare in carrozzella in un ristorante cinese e il figlio la imbocca, poi a Central Park dove c’è una festa di neri che le danzano attorno per la sua felicità. Oggi c’è un altro Roberto Rossellini, figlio adottivo di Isabella, un giovane atletico di colore con occhi verde azzurri e la disordinata pettinatura rasta: è di rara bellezza, fa il modello e lo stilista, si veste con le sue creazioni afro, gli stilisti se lo contendono ( Vogue Italia di settembre pubblica un servizio con quasi tutta la famiglia vestita di nero Dolce & Gabbana). I prossimi Rossellini saranno neri, discendenti di questo stupefacente Roberto, di Alessandro, anche di Nur (e di suo marito anche lui scuro).