Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  agosto 26 Mercoledì calendario

L’ultima miniera di carbone d’Italia riconvertita

Dopo il carbone, l’energia verde. Con le gallerie a mezzo chilometro di profondità che si trasformeranno in deposito per l’energia prodotta con le rinnovabili.
Il nuovo corso dell’ultima miniera di carbone d’Italia, situata a monte Sinni nel Sulcis Iglesiente, sarà all’insegna della ricerca e dell’energia. I giorni scorsi l’azienda controllata dalla Regione ha modificato il suo statuto aprendo quindi alla possibilità di diventare produttore di energia. «Il nostro obiettivo è quello di diventare hub energetico regionale – dice Francesco Lippi, amministratore unico – il tutto seguendo il filone delle rinnovabili e dell’energia a basso impatto». Punto di partenza il piano di chiusura del sito minerario, che comunque ha riserve di carbone per un miliardo e mezzo di tonnellate (pari a cento anni di attività), con cui si prevede una produzione di «15-18 megawatt provenienti dalle rinnovabili». E poi, come argomenta il manager «arrivare attraverso il piano di raddoppio a 45-50 megawatt prodotte con le rinnovabili».
L’ultima novità che riguarda il sito minerario dove già si porta avanti il progetto per la coltivazione dell’alga Spirulina e quello dei gas rari con il progetto Aria attraverso una sorta di alambicco montato nella verticale di uno dei quattro pozzi (profondi mezzo chilometro) è il progetto dell’Energy storage. «L’idea è quella di sistemare negli spazi del sottosuolo celle particolari in grado di immagazzinare l’energia in eccedenza prodotta con le rinnovabili, sottoforma di aria compressa e – aggiunge Lippi – rilasciarla all’occorrenza attraverso un sistema di turbine che trasformano nuovamente l’aria in energia». Quanto alla resa: «È stato calcolato che, oltre a soppiantare l’utilizzo delle batterie – continua ancora Lippi – ci sarebbe una riserva di 80 -100 megawatt in sottosuolo«. Il progetto è in fase avanzata e vede partecipare anche il dipartimento di meccanica elettrica dell’Università di Cagliari. «Naturalmente la raccolta e stoccaggio dell’energia non sarebbe limitata solo alla Carbosulcis ma anche alle strutture pubbliche che producono energia e in alcuni casi viene dispersa – argomenta ancora -. Diciamo pure che con questo sistema, che vuole integrarsi con le altre strutture puntiamo a candidarci per diventare hub energetico regionale».