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 2020  agosto 26 Mercoledì calendario

Carrère scrive della sua depressione

Emmanuel Carrère aveva detto che non riusciva più a scrivere. Invece all’improvviso arriva il suo libro più personale, quasi un diario intimo. E dire che lo aveva pensato come un piccolo saggio narrativo, “sottile e sorridente”, centrato sullo yoga che seduce milioni di occidentali e che l’autore francese pratica da una trentina d’anni, insieme alla psicoanalisi, uno dei suoi molti tentativi di addomesticare i propri demoni interiori.
Il risultato è invece un romanzo inquietante e consolatorio, tenero e disperato. Sei anni dopo Il Regno, e dopo un lungo silenzio letterario intervallato dalle frequenti incursioni nel giornalismo, Carrère rivela la grave depressione che lo ha colpito, portandolo fino al ricovero in una clinica psichiatrica.
Yoga, il romanzo più atteso della rentrée letteraria francese, già acclamato dalla critica d’Oltralpe e favorito per il premio Goncourt, si riallaccia idealmente con i libri di autofiction più riusciti dello scrittore, come Vite che non sono la mia, con squarci nella parte più tenebrosa della sua intimità, a cominciare da quella famigliare narrata in La vita come un romanzo russo nel quale indagava la misteriosa scomparsa del nonno materno. «La follia e l’orrore sono l’ossessione della mia vita. I libri che ho scritto non parlano d’altro», spiegava già allora, dodici anni fa.
Se Carrère si è spesso cercato un doppio letterario – dal protagonista de I baffi alla biografia del genio paranoico Philip Dick a quella del dissidente russo Limonov, al pluriomicida mitomane Jean-Claude Romand – questa volta non si nasconde dietro a nessuno. E porta il lettore in un viaggio che dalle vette della meditazione precipita nell’abisso di una crisi psicologica che travolge tutto, facendo riesplodere una fragilità già affiorata in precedenti libri, come testimonia la breve svolta mistica raccontata ne Il Regno.
Yoga comincia nel gennaio 2015 con la partenza verso uno seminario intensivo di Vipassana, ovvero dieci ore di meditazione al giorno, su un piccolo cuscino, in silenzio. «Il mio unico vero problema – osserva Carrère – è un ego ingombrante e dispotico, di cui aspirerei a limitare l’impero, e la meditazione è fatta proprio per questo». Il tentativo di ascesi viene interrotto dagli attentati parigini nella redazione di Charlie Hebdo. La compagna di una delle vittime, l’economista Bernard Maris, è amica di Carrère e chiede al romanziere di fare un discorso ai funerali. Nel lasciare il suo eremo, lo scrittore nota il contrasto tra lo shock provocato dalla strage e l’impassibile quiete che continua nel «conclave di meditatori impegnati a frequentare le loro narici e a masticare silenziosamente bulgur con gomasio». «Un’esperienza – aggiunge – è semplicemente più vera dell’altra». Gli eventi trascinano il progetto letterario in tutt’altra direzione. O forse nella sintesi dello yoga, che punta a conciliare gli opposti. Con la fine di una relazione adultera clandestina, e il secondo matrimonio che va in frantumi, Carrère viene ricoverato all’ospedale psichiatrico Saint’Anne. «Quando sono arrivato – racconta all’ Obs – il pensiero di essere messo a letto, di non dovermi preoccupare di nulla, di essere curato a dosi massicce di ketamina, è stato un vero sollievo».
Se sulla vita sentimentale lo scrittore omette alcuni dettagli e nomi, diversamente da quanto fatto in passato, non cela niente del ricovero. Le sedute di elettroshock. La diagnosi dei medici, sindrome bipolare di tipo 2. «La depressione e i disturbi psichiatrici colpiscono molte persone. Tendo a pensare che si faccia sempre un lavoro utile e benefico sottolineando la propria miseria, perché abbiamo tutti in comune il fatto di essere assolutamente infelici». Carrère trascorre la convalescenza in un campo profughi della Grecia ma è costretto ad ammettere che si allontana dall’obiettivo di diventare «uomo sereno e benevolo» come immaginava qualche tempo prima. «Un uomo che – argomenta – avrebbe fatto pace con il piccolo Io pauroso e narcisistico, scrivendo libri sempre più limpidi, coperti di una gloria universale, ricevendo i suoi amici sotto il pergolato, nella sua semplice e bella casa di Patmos, e avvicinandosi alla morte, senza battere ciglio, in quel famoso stato di quiete e meraviglia che ha dedicato la vita a costruire». Il tema dell’identità, di chi si è davvero, al di là di ogni finzione, rimane un sottotesto di tante sue opere.
L’anno scorso Carrère aveva girato un film da regista con Juliette Binoche, tratto dall’inchiesta Quai de Ouistreham della giornalista Florence Aubenas. La presentazione della pellicola è stata rimandata a data da destinarsi per via del Covid. Anche Yoga (che uscirà in Italia nel maggio prossimo per Adelphi) era stato in un primo tempo ritardato a causa delle innumerevoli correzioni che voleva fare l’autore. Previsto in libreria in Francia il 10 settembre, alla fine è stato anticipato a domani per venire incontro all’attesa dei lettori.
Carrère, 62 anni, ne parla all’ Obs come di un “libro zoppo”. «E per questo lo amo. Tutti noi zoppichiamo. Anche Macron, per fare l’esempio del ragazzo che è a priori il più impermeabile a ogni fragilità psichica, zoppica. Molto spesso la gente se ne vergogna, non osa dirlo. Quando qualcuno lo fa, è una bella sensazione». E questa volta, sta parlando di se stesso.