la Repubblica, 26 agosto 2020
Processo al cruciverba
Il brontosauro opinava che il verbo brontolare l’avevano inventato per fargli rabbia. Questa favoletta ne dice: che il permaloso è debole opinante” (favola 65 del Primo libro delle favole di Carlo Emilio Gadda). Il permaloso è colui che si sente coinvolto in qualcosa che magari non lo riguarda eppure se ne offende lo stesso, spesso ancor prima di capirlo. Come il lampo precede il tuono così la velocità del coinvolgimento vittimario sopravanza abbondantemente quella del ragionamento: è nella corsa che il gaddiano opinare evidenzia la propria debolezza.
Propongo un esperimento. Si sostituisca al “brontosauro” della favola il sostantivo “accademico” e al gaddiano “verbo brontolare” “l’aggettivo accademico” (nell’accezione figurata di “retorico, astratto, inconcludente”, la numero 4 del vocabolario Zingarelli 2019): “L’accademico opinava che l’aggettivo accademico l’avevano inventato per fargli rabbia”. Sarebbe un buon sunto di quanto è successo in un giorno del tardo agosto, quando una docente universitaria di Letteratura contemporanea, Daniela Brogi, ha inviato il seguente tweet: “Gentile Direzione e Redazione della # SettimanaEnigmistica : NO Il sinonimo di “retorici e inconcludenti” da voi richiesto nell’1 orizzontale del cruciverba a p. 37 del n. 4612 NON è ACCADEMICI scriverlo è non solo sbagliato e falso, non solo offensivo, ma antieducativo”.
Devo premettere un’avvertenza personale: a differenza di alcuni miei parenti stretti, io non ho rapporti di alcun tipo con il settimanale enigmistico menzionato, di cui sono semplice abbonato e solutore e con cui nella mia maggior età non ho mai collaborato. Come dire che non prendo la parola per caso personale, né per offesa e difesa nei confronti di mittente e destinatari del tweet: vorrei solo scongiurare offese al lessico italiano.
Rivolta a un giornale enigmistico, l’accusa di aver fornito una definizione sbagliata, falsa e antieducativa sarebbe da querela ma è anche vero che viviamo in un’epoca in cui un esponente del governo nazionale può dire “libico” intendendo “libanese” e allora non ci stupiamo più di nulla. L’accuratezza non è pane quotidiano e lo si capisce proprio dalla forma sintattica e logica dell’accusa mossa nel tweet.
L’accusa si fonda infatti – lei sì – su un presupposto falso e anzi menzognero: all’opposto di quanto asserisce, “accademici” è effettivamente sinonimo di “retorici” e di “inconcludenti” e ad attestarlo sono tutti i vocabolari della lingua italiana. Certo, si tratta di una soltanto delle molteplici accezioni dell’aggettivo, come sanno i solutori della Settimana Enigmistica e in generale i parlanti della lingua italiana – ivi compresi, si spera, gli accademici (qui intesi come docenti universitari). Antieducativo sarà allora, e più di ogni altra cosa, affermare a tutte maiuscole che una parola non ha il significato che invece ha.
Riusciamo a immaginarci che un progressista contesti l’accezione losca e spiacevole della parola “sinistra” o che un professore di retorica si ritenga offeso dal senso deteriore dell’aggettivo “retorico”? La risposta, purtroppo, è: “sì”. Oramai ce lo immaginiamo, ce lo aspettiamo, sappiamo che accadrà e accadrà ben presto, poiché la marea moralizzatrice del linguaggio continua a montare e a sommergere le barriere, rendere opache le distinzioni, anticipare l’indignazione e ritardare la comprensione sino a impedirla.
Che i brontosauri siano stati “deboli opinanti” è tutto sommato accettabile, specie nella cornice della geniale favoletta di un letterato fra i nostri eccelsi. Ma che a essere deboli opinanti siano gli accademici è una morale più amara, assai fastidiosa da deglutire. Accettarla, sarebbe peraltro anche il modo più odiosamente efficace di far sospettare che l’accezione universitaria e quella spregiativa dell’aggettivo “accademico” siano più vicine di quanto in sé non implichi la polisemia di un vocabolo.
La difesa del sapere, della competenza, della cultura non si fa con affermazioni maiuscole in alcun caso. Diventa poi dolorosamente controproducente nel caso in cui le esclamazioni sono erronee e a loro volta tali da mortificare la conoscenza che abbiamo del mondo e, nel mondo, del linguaggio.