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 2020  agosto 26 Mercoledì calendario

Il mito di Briatoria

“Stamattina mi sento un leone...” proclamava l’altro giorno in accappatoio bianco su Instagram, alle spalle una gran testa di leone, appunto. Ora, ognuno si sceglie un po’ l’animale totemico che vuole, ma il fatto che pure al suo resort di Malindi Flavio Briatore avesse messo nome “Lion in the sun” lascia immaginare che si sentisse anche lui un re.
Re di che cosa è già più complicato a dirsi; ma ci si può provare, sperando che si tratti di un’ipotesi troppo peregrina. E allora: più che una città-stato nello Stato, Briatoria, come potrebbe chiamarsi tale entità, è il frutto maturo dei tempi, o se si vuole della recente e dissennata storia d’Italia. Così come, più che un regno immaginario, appare soprattutto come un progetto identificabile, attraverso la figura del suo sovrano, quale canone, gusto e stile di vita, oltre che pacchetto ludico, turistico e commerciale.
Questo non toglie che si riveli anche un castello in aria, quindi dovutamente fragile, come testimoniano gli ultimi eventi. Comunque un sistema scorrevole di relazioni e di affari, Briatoria, dislocata fra la Provincia Granda del Piemonte, da cui proviene il fondatore, Londra, l’Africa, Montecarlo, gli Emirati e la Costa Smeralda. Al centro, ma con policentrica mobilità, è venuto a collocarsi il Billionarie: «Abbiamo scelto questo nome arrogante – ha spiegato un giorno re Flavio – perché funzionava», il che è anche vero.
Attorno a tale prodotto d’ingegno notturno girano come falene auto di Formula 1, ipermodelle, avventurieri, conformisti, tipi da spiaggia, calciatori famosi, tenutari di panfili adocchiati dalla Guardia di finanza; e ancora, in sintomatico e impegnativo coagulo si dispiegano sui rotocalchi e ora sui social abbronzature perenni, lenti azzurrognole, camicie bianche sbottonatissime, volti da chirurgia estetica, morbide scarpe con nappine, collanone d’oro e bracciali anche di platino. Nel piatto, a seconda delle stagioni, tartufi & gamberoni; nel bicchiere, champagne o acqua minerale, di cui anni orsono si valutò in 25 bombi la bottiglia. Musica: non pervenuta. Sullo sfondo, ad allietare arredi pacchianeggianti: limousine, guardaspalle pelati e astuta beneficienza (dapprima a favore di sardi poveri, poi di proverbiali bimbi africani). E non è un’ambientazione di Vanzina, quanto la realtà.
Con ragionevole datazione la fioritura di Briatoria può farsi risalire al culmine del berlusconismo, secondo governo 2001-2008, quando il demiurgo Billionaire fu scelto quale testimonial della campagna contro le stragi giovanili del sabato sera, a riprova dell’apoteosi dei Vip e dell’istituzionalizzazione delle discoteche. Nulla comunque rispetto al mutamento epocale che di pari passo andava configurandosi con la definitiva superiorità dei beni materiali e del lusso non si dirà qui sulla cultura e sullo spirito, ma un po’ su tutto il resto, con buona pace della fraternità e dell’uguaglianza.
E tuttavia, al netto di ogni fiabesco eccesso interpretativo, questo mondo sopravvisse alla crisi e alla caduta del berlusconismo immedesimandosi in qualcosa e in qualcuno di ancora più grande: Donald Trump, di cui Briatore risultava talmente amico che il provvido provinciale Renzi, quant’altri mai attratto da quell’andazzo, gli chiese di fargli da facilitatore con la Casa Bianca, anche se invano. Altre figure entrate in rapporto: lo spagnolo organizzatore di corse Agag, il ristoratore Johnny Micalusi, la giornalista Chirico e Beppe Grillo. Inutile dire che un bel pezzo d’Italia non riconosce le virtù briatorie: sangue freddo, generosa energia, amore del rischio, insofferenza verso ipocrisie, anche lessicali, e moralisti di varia e residua provenienza ideologica. In quella specie di sommaria e sgangheratissima lotta di classe che in Italia vede il partito dei ricchi (spesso indebitati) azzuffarsi contro quello dei poveri (quasi sempre rappresentati da chi povero non è affatto), più che della ricchezza Briatore può essere in realtà considerato leader e alfiere della “riccanza”, come da indimenticato programma televisivo, là dove il valore del denaro è legato soprattutto al suo sfoggio, tanto simbolico e spettacolare quanto istintivamente e culturalmente avverso alla frugalità.
Ridotto all’osso, il conflitto è fra vincenti e sfigati, parola che suona ancora più atroce se si pensa a quanto la vittoria, nella vita, non solo è fugace, ma condizionata da eventi imprevedibili e anche, come si vede, drammatici. Nell’agosto dello scorso anno Briatore diede vita al “Movimento del fare” – ma poi non se ne fece nulla.