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 2020  agosto 26 Mercoledì calendario

Gli zingari, Levi e la memoria giusta

«Parlando degli zingari, ammetto di avere anch’io, come ebreo, un pregiudizio», scrisse Arrigo Levi su La Stampa il 10 giugno 2008. Precisò: un pregiudizio «favorevole nei loro confronti». Era uno dei momenti di tensione scatenati contro i rom dai cacciatori di voti razzisti. Infuriati con la decisione dell’allora sindaco di Venezia Massimo Cacciari di costruire alloggi popolari da destinare a un gruppo di Sinti. «Sono nomadi, no?», aveva urlato un senatore leghista, «Perciò devono fermarsi nelle città solo per brevi periodi».
I cognomi di quei Sinti dicevano tutto. Cognomi tipo Pietrobon, Brusadin, Pavan... Più veneti di certi venetisti che negli anni hanno chiamato i figli Kevin, Samantha, Suellen o perfino Mongomeri come anni fa un chioggiotto. Macché. Per i loro nemici, scrisse il grande giornalista appena scomparso, eran tutti «condannati a essere nomadi, senza possibilità di trovare lavori rispettabili, anche se aspirano solo ad integrarsi pacificamente in una città dove risiedono da decenni, essendo tra l’altro molti di loro, come una buona parte degli zingari oggi in Italia, cittadini italiani!» Sogno impossibile «se non si creano condizioni di vita accettabili, con la possibilità di mandare regolarmente a scuola i loro bambini, che così domani saranno rispettati cittadini, come hanno diritto di diventare». Esattamente come, per fare un esempio, la comunità rom di Melfi, in Basilicata, che cominciò a mandare i figli a scuola nel 1904.
«Non posso dimenticare», proseguì Arrigo Levi, «che nei lager nazisti, insieme con sei milioni di ebrei, furono sterminati anche centinaia di migliaia di zingari. Se gli zingari sono o furono nomadi, lo furono anche molti miei antenati per effetto delle persecuzioni subite in quanto “diversi”. La cosa di cui non mi do ragione è che tanti italiani abbiano dimenticato le discriminazioni, le accuse di essere sporchi, ladri e criminali, di cui furono bersaglio tanti nostri compatrioti, costretti, tra l’Otto e il Novecento, a emigrare». Basti ricordare l’indignazione del vescovo Geremia Bonomelli davanti al trattamento infame degli italiani nella sala d’aspetto loro riservata alla stazione di Basilea dov’erano «trattati peggio degli zingari».