Corriere della Sera, 25 agosto 2020
Covid, bandi per 9,6 miliardi
Valgono una decina di miliardi i contratti di fornitura per la risposta a Covid-19 dall’inizio dell’emergenza. Otto sono stati spesi per mascherine e altri dispositivi di protezione; le terapie intensive, le rianimazioni e i farmaci hanno assorbito altri 760 milioni, mentre analisi e diagnosi impegnano 604 milioni di euro. Restano però due grandi aree da chiarire: non è possibile conoscere la destinazione di un solo euro speso per il coronavirus negli ultimi quaranta giorni, mentre di circa la metà dei bandi sono già scaduti «con esito sconosciuto».
La ricostruzione, certosina, è della fondazione Openpolis insieme al Gran Sasso Science Institute (GSSI) dell’Aquila. I ricercatori hanno lavorato sulle informazioni trasmesse per obbligo di legge da più di mezzo migliaio di stazioni appaltanti all’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) e hanno integrato i dati con i siti degli enti. Ne viene fuori una rendicontazione delle spese che, appunto, lascia due zone d’ombra. In primo luogo, non è possibile sapere niente di come sono stati spesi fondi pubblici per l’emergenza dopo il 17 luglio, perché da allora la banca dati dell’Anac è bloccata e non esiste alcuna rendicontazione ad hoc da parte dei centri di spesa su Covid-19. E solo lotti per 4,26 miliardi oggi risultano sicuramente aggiudicati, ma sul resto non esistono informazioni.
Il tema è delicatissimo, perché meno del 3% degli importi spesi sulla pandemia è stato messo a gara con procedure aperte di modello europeo. Per il resto lotti per 5,4 per miliardi sono stati banditi tramite «procedure negoziate» (trattative private con quattro o cinque imprese in concorrenza fra loro) e altri lotti per 3,7 miliardi sono in affidamento diretto a una singola impresa. L’emergenza e l’obbligo di accelerare i tempi delle forniture hanno giustificato gli appalti con procedura accelerata. Vincenzo Smaldore, responsabile editoriale di Openpolis, comprende l’esigenza di evitare le gare per fare arrivare al più presto maschere o respiratori, ma osserva: «È sbagliato far passare il messaggio che la trasparenza su come viene speso il denaro pubblico sia un ostacolo alla velocità».
Openpolis critica in particolare la gestione del commissario straordinario all’emergenza Covid, Domenico Arcuri. L’analisi della fondazione e del GSSI fa emergere che la struttura commissariale è la seconda maggiore stazione appaltante per livelli di spesa, con bandi per 2,2 miliardi di euro. Secondo i dati raccolti, 1,8 miliardi sono stati assorbiti da procedure negoziate (gare private a quattro o cinque imprese) e 377 milioni sono in affidamento diretto. Il commissario osserva che 750 milioni di euro sono andati a copertura di forniture già acquistate dalla Protezione civile e da Consip, la società controllata dal Tesoro. Openpolis mostra però che per l’83% degli importi in gioco i bandi della struttura commissariale si sarebbero chiusi «con esito sconosciuto» e osserva che resta disatteso, dopo più di quattro mesi, l’impegno di Arcuri di pubblicare i dati sugli esiti degli acquisti a trattativa diretta.
Il commissario straordinario replica ricordando di aver scelto quasi sempre le gare pubbliche europee o le procedure negoziate, anche se le circostanze della pandemia gli avrebbero dato legalmente la possibilità di acquistare beni e servizi senza neppure pubblicare i bandi. «I bandi sono stati pubblicati. Ho scelto di farlo ogni volta che c’era un mercato», dice Arcuri. Il commissario risponde poi sulla mancata pubblicazione degli esiti delle trattative dirette: «È vero che non abbiamo ancora pubblicato i dati – osserva —. Lo faremo quando saremo certi di evitare che vengano strumentalizzati per polemiche politiche».
Unici per l’andamento sono poi i bandi Covid da parte di Aria Spa, la società controllata dalla Regione Lombardia. È la terza «stazione appaltante» che lancia più bandi Covid in Italia, per quasi un miliardo in cinque mesi (la prima è Consip con 3,2 miliardi). Ma nel caso di Aria Spa il 35% dei bandi, per valore, è stato «revocato o annullato».