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 2020  agosto 25 Martedì calendario

I 250 anni di Hegel

Quella di Hegel – di cui giovedì 27 ricorrono 250 anni dalla nascita – è la più ambiziosa prestazione filosofica degli ultimi due secoli; ha aperto un orizzonte di senso che ha coinvolto molta della riflessione filosofica seguente, anche quella che dall’avversione per lui ha tratto ispirazione ed energia: Schopenhauer, Kierkegaard, Nietzsche, Heidegger e i loro seguaci francesi (per non parlare di Marx, che con Hegel ha ingaggiato una lotta da cui non si è mai del tutto liberato).
Più volte è stato dato per morto, e più volte ha conosciuto “rinascite”, in chiavi diverse: dal neo-idealismo italiano dei primi decenni del XX secolo al nuovo interesse di cui è stato oggetto in Francia negli anni Trenta, al “marxismo occidentale” di Lukács e Korsch e poi dei “francofortesi”.
Evidentemente in quel pensiero deve esserci stata una forza che andava al di là della filastrocca di tesi antitesi sintesi, della boutade sul razionale che è reale (e viceversa); una forza capace di travolgere la sua condanna come presunto ideologo dello Stato prussiano e precursore del totalitarismo, e anche la sua riduzione a predecessore rovesciato di Marx.
Quella forza nasce dal fatto che Hegel, nel suo complesso percorso intellettuale, ha accettato fino in fondo la sfida della rivoluzione francese, che ha festeggiato con Schelling e Hölderlin nel seminario protestante di Tubinga, dove erano studenti: la sfida moderna di realizzare nel mondo il regno della ragione umana, di conciliare l’uomo con la propria storia, di sottrarre la vita all’autorità e di improntarla alla libertà. Di dare potere alla ragione, non di dare ragione al potere.
Ma l’ambizione di Hegel è stata, al tempo stesso, di liberare questo progetto dai suoi dogmatismi, dai suoi intellettualismi: la sua polemica contro l’illuminismo, Kant, il liberalismo non è né irrazionalistica né reazionaria – Hegel è altrettanto critico verso il romanticismo, verso i controrivoluzionari cattolici e verso i tradizionalisti di ogni tipo. È una polemica che nasce dall’esigenza di liberare la filosofia da ogni astrazione, di farla aderire al mondo, di farle esprimere la verità che nel mondo è immanente.
Una verità che non sta né nella ottusa empiria né nell’apriorismo metafisico ma nella contraddizione, nel Negativo, nella dialettica, nel processo storico che la esprime, nella filosofia che la riconosce attraverso la "fatica del concetto”, ovvero la fatica del lavoro storico e sociale con cui l’uomo produce sé e il proprio mondo. L’essenza del pensiero di Hegel è che non si deve accettare il dato per come si presenta, ma si deve negarlo e vederlo in relazione con la totalità delle sue condizioni e mediazioni: “spirito di contraddizione reso sistema” ha definito Hegel il proprio pensare. Nulla può essere pensato al di fuori dei processi che generano e mobilitano ogni particolare: solo l’Intero è la Verità.
La filosofia di Hegel è bacchica e delirante, come egli afferma in quel “romanzo di formazione” che è la Fenomenologia dello Spirito, ma è al contempo seria: dipinge “grigio su grigio” un mondo di cui penetra le contraddizioni. Quella filosofia è “tempo appreso in pensieri": pensa la storia, pensa la politica, l’economia, l’arte, la logica, la religione; è una filosofia che entra in tutto il reale per cercare nella sua negatività il filo della ragione, la “rosa nella croce del presente”.
Nel nostro tempo la ragione non solo mobilita il mondo come una rivoluzione, ma anche si manifesta oggettivamente negli ordinamenti nuovi che la storia realizza (nello Stato – di cui Hegel mostra le interne contraddizioni —), per ritrovarsi nello Spirito, cioè nella consapevolezza filosofica della totalità delle relazioni umane. L’idealismo di Hegel significa che il mondo nella sua concretezza è tutto conoscibile, elaborabile nel pensiero. Lo Spirito è una civetta che guarda dall’alto il mondo storico, e al tempo stesso è una talpa capace di scavare nella storia e di riemergerne senza perdere il filo.
La potenza critica di questo approccio è enorme; nulla è al riparo dal potere della ragione, che non teme nulla, nemmeno la non-ragione, di cui anzi si nutre, inseguendola in ogni interstizio del reale, per superarla: conoscere il limite vuol dire essere già oltre il limite. Ma altrettanto grande è il rischio dell’autoassoluzione trionfalistica del pensiero, che celebra se stesso e si concilia con il mondo lasciandolo al suo destino. Ed è poi enorme la pretesa che il Negativo non sia un abisso in cui la ragione sprofonda definitivamente. Che cosa avrebbe detto Hegel davanti ad Auschwitz, al gulag, a Hiroshima? Al totalitarismo dell’inumano?
La lotta – a volte l’odio – contro Hegel nasce da molte ragioni. Da una cura della singolarità e della pluralità che non vuole perdersi nella universale Verità; dalla consapevolezza della contraddittorietà non dialettica che abita l’uomo; dalla indisponibilità della contingenza a essere superata, a comporsi in ordinamenti e in concetti, e anzi dalla sua pretesa di valere di per sé, come positivo; dallo slancio per superare il Negativo non nel pensiero ma nella prassi. Ma nasce anche dall’autoritarismo dei poteri e dei saperi costituiti, dalla loro pretesa di possedere, immediatamente e indiscutibilmente, la Verità.
Hegel, con la sua dialettica, è da tempo inattuale; benché abbia visto e pensato i grandi problemi della filosofia e della storia, la soluzione che avanza sembra oggi impraticabile: il mondo non sta tutto dentro la filosofia. È questo il contrappasso di chi, come lui, non ha voluto essere migliore del proprio tempo, ma ha insegnato a stare nel proprio tempo nel modo migliore.
Eppure, dalla sua inattualità ci viene ancora un messaggio: di non credere né alla illusoria autosufficienza di ciò che è particolare né alla forza bruta della universale ragione strumentale che dileggia la dialettica per meglio dominare il mondo e gli uomini; e di opporre a entrambe la forza mobilitante se non dello Spirito almeno del pensiero critico.