Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  agosto 25 Martedì calendario

L’Italia incassa 27 miliardi di prestiti europei

È la prima ricaduta concreta dell’accordo europeo di luglio, il primo prestito frutto di debito comune dell’area della moneta unica. Poco più di ventisette miliardi di euro con i quali l’Italia finanzierà anzitutto il prolungamento della cassa integrazione alle imprese colpite dalla crisi pandemica. Si chiama “Sure”, acronimo imperfetto di “State Supported Short Time”, e verrà distribuito ai Paesi che più di altri hanno difficoltà a dare un reddito ai senza lavoro. L’Italia è di gran lunga il primo beneficiario. Dopo di noi la Spagna (ventuno miliardi), la Polonia (undici), il Belgio (sette), la Romania (quattro) e la Grecia (poco meno di tre). Portogallo e Ungheria attendono risposta, mentre Germania, Francia e Olanda non hanno ancora inoltrato alcuna richiesta.
È la prima risposta del governo dopo le critiche delle imprese ai ritardi e alla mancanza di efficacia per le misure fin qui decise. L’ultimo decreto, apparso in Gazzetta Ufficiale a Ferragosto, è una somma di aiuti spesso a pioggia, solo in alcuni casi coerenti con una strategia di lungo periodo. Per dare attuazione al pacchetto anticrisi occorrono più di quattrocento decreti attuativi, tuttora in attesa di essere scritti: la gran parte dei ministeri ha ripreso il lavoro questa settimana.
Finita la fase dell’emergenza il governo deve preparare entro metà ottobre il piano nazionale delle riforme, il punto di partenza per accedere ai contributi a fondo perduto e ai prestiti del Recovery Fund. L’altra decisione da prendere riguarda i 36 miliardi a disposizione del Fondo salva-Stati, meglio noto come Mes. I Cinque Stelle mettono le mani avanti: il sì al Sure non significa il via libera a tutti gli strumenti. È una questione puramente nominalistica: in entrambi i casi si tratta di prestiti che dovranno essere onorati. L’alternativa è chiedere quei fondi sui mercati con emissioni di Btp. Detta in sintesi: i prestiti europei sono frutto di emissioni di obbligazioni fra Paesi dell’area dell’euro, sottoposti al giudizio dei partner, ma costano meno perché garantiti non solo dall’Italia – il cui debito è alto, e dunque più costoso da finanziare – ma anche dai Paesi con conti pubblici solidi come Germania e Olanda. Secondo il ministro del Tesoro Roberto Gualtieri nel caso dei prestiti Sure l’Italia risparmierà cinque miliardi e mezzo in quindici anni.
L’accordo di luglio vale per l’Italia fino a 209 miliardi di euro. Il successo del piano passa dalla qualità delle proposte che verranno presentate a Bruxelles. Il ministero degli Affari europei ha chiesto a ciascun dicastero le proprie priorità, peccato che – il numero l’ha rivelato con malizia Gualtieri – ne sono state presentate più di 500. Messo al corrente dei numeri, il commissario europeo Paolo Gentiloni ha fatto sapere di aspettarsi pochi progetti qualificati, e non una lista infinita di micromisure.
La faccenda non è semplice: deputati e senatori vogliono essere coinvolti, e per questo verranno organizzate audizioni in stile pletorico, quelle che di solito contraddistinguono la legge di bilancio. La coincidenza con le regionali del 20 settembre rischia di trasformare l’appuntamento in set per la campagna elettorale, e per questo – raccontano fonti di governo – il premier Giuseppe Conte cercherà di prendere tempo.
I giochi si faranno fra la fine di settembre e l’inizio di ottobre, quando occorrerà essere pronti con la bozza della legge di bilancio per il 2021. «Il governo aveva promesso di lavorare al Recovery Fund ad agosto», lamentava ieri su questo giornale il presidente di Confindustria Carlo Bonomi. Non c’è da stupirsene: il governo non ha ancora nemmeno deciso se chiedere il prestito più facile di tutti, svincolato da ogni progetto, quello del salva-Stati. Ma poiché si tratta dello stesso strumento usato nel 2008 per salvare gli allora Piigs, lo rende indigesto ai Cinque Stelle.