La Stampa, 25 agosto 2020
Biografia di Kingsley Coman
Uno così è sempre meglio tenerselo stretto, non soltanto perché domenica sera è entrato nell’esclusivo club dei campioni in grado di decidere una finale di Champions League. Kingsley Coman, 24 anni, ha tante ottime qualità, tra le quali spicca quella di sapersi trovare sempre nel posto giusto al momento giusto. Lo era sul cross di Kimmich, per appoggiare in rete di testa il pallone che ha regalato la sesta Coppa dei Campioni al Bayern. Lo è sempre stato nel corso di una carriera baciata dal destino, con l’unica eccezione di Russia 2018, saltata per uno dei ricorrenti infortuni alla caviglia sinistra, altrimenti ora sarebbe anche campione del mondo. In ogni caso non ricordiamo altri calciatori che alla sua età abbiano vinto tanto: il primo trionfo internazionale è il 20° della collezione, in cui deve già trovare posto a qualcosa come 9 campionati. Tutti quelli a cui ha partecipato, perché il francese vince sempre: da quando nel 2013 Ancelotti lo fece esordire a 16 anni, 8 mesi e 4 giorni, più giovane di sempre in Ligue 1 con il Psg, non ha sbagliato un colpo. Addirittura sdoppiandosi nel 2015-16: secondo scudetto con la Juve, grazie ai 64’ nello 0-1 con l’Udinese esattamente cinque anni prima della finale del Da Luz, più il primo dei cinque «Meisterschale» alzati in Baviera. «Spero che questa serie non finisca mai, non sono per niente sazio».
Psg, la punizione dell’ex
Kingsley s’è così trasformato nel più grande dei rimpianti per il Psg: parigino, entrato a 8 anni nel vivaio dei campioni di Francia, non solo nel 2014 è partito a parametro zero verso Torino, ma adesso l’ex bambino prodigio ha pure sfilato la Champions dalle mani degli sceicchi, che in nove anni hanno investito invano sul mercato quasi un miliardo e mezzo. Per la Juve un rimpianto già lo era dalla maledetta notte dell’Allianz Arena, ottavi di finale, 16 marzo 2016: fu proprio il ragazzino ceduto sei mesi prima al Bayern per 28 milioni a ribaltare il match, chiudendo il 4-2 ai supplementari. Sembrava una gran bella cifra per un 19enne, ma all’uovo di ieri (plusvalenza necessaria, croce del nostro calcio) forse sarebbe stato meglio preferire il galletto di oggi. «Quando si vedono delle qualità nei giovani bisogna saperli aspettare – punge Fabio Capello -, la Juve è recidiva: accadde lo stesso vent’anni fa con Henry». I bianconeri lo consideravano una seconda punta, Karl-Heinz Rummenigge, n. 1 del club campione d’Europa, vide in lui l’esterno capace di raccogliere l’eredità di un certo Franck Ribery. Trentatrè reti e una Champions dopo, il paragone comincia a reggere, mentre Coman non dimentica il passato: «Per me questa è stata una serata straordinaria – ha detto dopo il gol di Lisbona -, ma un po’ mi dispiace perché a Parigi ho ancora tanti amici e un fratello, Kimpembe». Almeno lui, di rimpianti non ne ha: «La Juve? Se sono diventato il giocatore che sono adesso è merito anche della Serie A, in Italia ho imparato tanto». Chapeau.