la Repubblica, 25 agosto 2020
Storia di una scena famosa di "Una vita difficile"
Da “Oliviero” a Ronchi, stasera c’è più gente del solito. La troupe che da un paio di giorni staziona in Versilia gira una scena proprio qui, nello storico night club di Marina di Massa. È l’8 settembre 1961, sul set spira un’arietta dolce di fine estate. Donne eleganti con le spalle nude, uomini ricchi col golfino sulla schiena. Alberto Sordi, con la giacca scura e la cravatta a pallini di Silvio Magnozzi, è assediato dalle ammiratrici. Rodolfo Sonego, lo sceneggiatore del film, lo marca stretto, con lo sguardo accigliato e la pipa in bocca. L’idea di Una vita difficile è sua, soprattutto l’avvio (la guerra partigiana, l’arrivo a Roma, le mangiate in trattoria) pesca pezzi della gioventù di Sonego. Lo spunto è talmente autobiografico che Dino Risi lo aveva incoraggiato a dirigere il film lui stesso, offrendosi di fargli da aiuto; Sonego aveva declinato ma, diversamente da come fanno in genere gli sceneggiatori, era sempre sul set, a perfezionare il copione giorno per giorno. La sequenza che si gira è ambientata a Viareggio, che in realtà si trova a mezz’ora di macchina più a sud: Magnozzi, visibilmente brillo, scende da un taxi, ritrova la moglie Elena e la supplica inutilmente di tornare con lui. Elena doveva essere Gina Lollobrigida, che però pretendeva che le ampliassero la parte. Il ruolo è così passato a Lea Massari. L’attrice è elettrizzata, anche perché quei luoghi le ricordano l’infanzia: «Da bambina abitavo qui vicino» dice a un giornalista, «a Fiumetto. Ci venni quando avevo appena otto anni e ci rimasi fino ai quattordici. È su queste spiagge che conobbi il primo amore. Avevo nove anni e anche lui era un bambino; tanto bambino che non si accorse nemmeno che gli volevo bene». Al tramonto si accendono i riflettori. Sordi scende dal taxi, penetra la folla del ristorante Oliviero, ritrova la moglie, riesce a sedersi al suo tavolo ("Avrò il diritto di parlare due minuti con la mia signora?"). La corteggia, la supplica, la rimprovera ("Questi che conosci tu hanno le macchine fuoriserie che mi fanno schifo, a me!"). E quando lei fa per andarsene col suo amante, affronta il rivale e lo prende a pugni ("Aoh?! Ma chi sei tu che ti intrometti nella mia vita? Canaglia!"). Si va avanti fino a tardi. All’alba rimane solo una scena, piuttosto complicata: all’uscita da Oliviero, l’amante di Elena sgomma via su una decappottabile, la donna sale sull’auto di un amico poco prima che il marito la raggiunga; sbronzo marcio, Magnozzi se ne va a zonzo sul lungomare. Tutto in un’unica ripresa, senza stacchi. Ciak, motore, azione! Dopo la fuga di Elena, Sordi caracolla scamiciato sul Lungomare di Levante e sputa platealmente sulla prima auto che gli viene a tiro. E qui arriva il miracolo che tutti i cineasti sperano di incontrare almeno una volta nella loro carriera, quella congiuntura di fortuna e talenti in grado di produrre la Scena Indimenticabile. Risi aspetta a dare lo stop, scambia uno sguardo d’intesa con Sonego, afferra il megafono e grida: «Alberto, continua, continua». Sordi è entrato nel personaggio di Silvio Magnozzi e non ne esce più: sputa, urla improperi, si sdraia per terra, si rialza, si mette a rincorrere le macchine. Intanto le auto di scena completano il percorso prestabilito e Risi ordina che tornino indietro a fare un altro giro. Sordi racconterà – ma forse è leggenda – che i torpedoni coi turisti tedeschi, quelli a cui grida “Cosa venite a fare qui, non c’è niente da vedere, è tutto uno schifo!”, erano autentici e passavano di lì per caso, entrando così inconsapevolmente nella storia del cinema. La troupe lavora in Versilia ancora una decina di giorni, soprattutto a Viareggio. Risi gira allo stabilimento Bengasi (Magnozzi cerca Elena su un’affollatissima spiaggia), davanti all’Excelsior (la trova seduta a un tavolo con amici), alla Costa dei Barbari (la sbircia dai vetri ballare con l’amante), poi va a completare le riprese a Roma, in uno studio di posa. Nel frattempo l’arietta fresca del Lungomare di Levante ha regalato alle spalle nude della Massari il colpo della strega; per il resto del film l’attrice dovrà recitare con un busto di ferro. Nel film montato, la “scena degli sputi” durerà sullo schermo due minuti, e sarà uno dei momenti migliori del film, lo scontro decisivo tra la fedeltà agli ideali e il nascente boom economico. Per alcuni critici Una vita difficile doveva finire lì, su una chiusa realistica e poco conciliatoria. Il finale definitivo è un altro, quindici minuti più avanti. Sarà anche poco realistico ma è comunque memorabile: umiliato dal padrone che ha deciso di servire, Magnozzi gli molla una sberla e lo sbatte in piscina, riconquistando in un sol colpo moglie e dignità. La paternità di questo finale, scritto a ridosso dalle riprese, è incerta: se la sono attribuiti sia Sonego sia Risi sia lo stesso Sordi. Il quale, dei quasi duecento film della sua carriera, ha sempre considerato Una vita difficile quello più rappresentativo, malgrado sia l’unico in cui interpreta un personaggio di sinistra (all’anteprima ebbe un caloroso abbraccio addirittura da Togliatti). Sordi sapeva bene quanto possa essere scivolosa e traballante l’integrità di un onesto tutto d’un pezzo in perenne collisione con “i birbaccioni” e “i truffaldini”, ed è riuscito a portarne sullo schermo tutte le fragilità e le contraddizioni. Alla fine degli anni 70 un incendio ha distrutto Oliviero; il locale di oggi non è più quello del film. E di Magnozzi, dopo gli sputi sulle auto e lo schiaffo in piscina, cosa sarà stato? Alcuni anni fa, quando il film di Risi venne restaurato, lo chiesi direttamente a Sordi. «Basta capire che fine hanno fatto quelli che credevano negli stessi ideali», mi rispose. «Il Muro è caduto, la sinistra è andata al potere ma ha cambiato nome e simbolo. Probabilmente anche Magnozzi si sarebbe adattato».