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 2020  agosto 24 Lunedì calendario

Il debito al 160% fa meno paura

Di slancio, quasi senza accorgersene, distratti dall’epidemia, abbiamo cumulato nuovi debiti. La cifra rispetto al Pil è enorme: 155,7 per cento, stando alle stime ufficiali diffuse dal governo nel Documento di economia e finanza; oltre 160 per cento se si guarda alle più recenti analisi dell’Upb, l’autorità di controllo sui conti pubblici. In termini assoluti abbiamo scavalcato i 2.500 miliardi: non è poco. Tra settembre e dicembre dovremo collocare sul mercato 150 miliardi di Bot e Btp. L’autunno sarà una stagione di scelte decisive per le nostre finanze pubbliche e la situazione resta critica, ma non tutto è perduto. Il debito quest’anno è schizzato verso l’alto per circostanze straordinarie, e soprattutto di natura extraeconomica, come il virus e la necessità di chiudere l’intero sistema produttivo per contrastare l’epidemia: i 25 punti in più di debito pubblico che ci troviamo sulle spalle, pari a 450 miliardi, dipendono infatti per metà dalla “procurata” caduta del Pil e per l’altra metà dalle spese che abbiamo fatto per tentare di contrastare la recessione. Per memoria: il Pil quest’anno cadrà nella migliore delle ipotesi dell’8 per cento e abbiamo pompato 100 miliardi nell’economia con tre decreti che valgono il 6,2 per cento del prodotto nazionale, portando il rapporto deficit-Pil al 10,4 per cento (13 per cento per l’Upb). Il ricorso al mercato non sarà facile. Quest’anno, secondo un focus di Antonio Forte del Cer, dovremmo complessivamente piazzare circa 520 miliardi di titoli di Stato: agosto compreso ne abbiamo emessi 380, dunque da settembre a dicembre il Tesoro dovrà piazzare 140-150 miliardi di Bot e Btp. Impresa non impossibile, ma da condurre con la necessaria accortezza: i mercati, come è noto, scrutano assai da vicino le vicende della politica di casa nostra e temono instabilità e brutte sorprese.La svolta per l’ItaliaCiò detto, qualche elemento di novità, cercando di inforcare gli occhiali della fiducia, si profila all’orizzonte. La situazione drammatica e terribile della pandemia ha portato danni enormi, ma a livello delle politiche dell’Unione europea ha prodotto una svolta che sarà utile all’Italia. L’intervento per 750 miliardi, che passa sotto il nome di Next Generation Eu, è stato promosso dalla Germania e approvato dopo grossi malumori dai Paesi del Nord da sempre ostili ai famigerati eurobond, i titoli di debito pubblico europei accusati di finanziare le spese delle “cicale” e di caricare il rischio sui “frugali”. Stavolta tuttavia l’effetto-Covid e la paura di ripetere gli errori del 2008-2010, quando si pensò di risolvere la crisi a colpi di austerità, hanno agito da catalizzatori: e sebbene il nome eurobond sia stato accuratamente messo in sordina per non irritare le frange più rigoriste, l’Italia ha incassato un risultato importante. Dal prossimo anno potrà finanziare il suo debito con titoli dalla tripla “A” emessi dall’Europa con tassi vicini allo zero. Non è poco. Dal 2021 nel nostro bilancio, accanto alle normali emissioni di Bot e Btp, ci sarà più o meno un 10 per cento di debito costituito da prestiti dell’Unione. Non solo emissioni “tricolori”, dunque, ma prestiti a bassi tassi contraddistinti dalle dodici stelle d’oro in campo blu della bandiera europea. Gli strumenti, come è noto, sono quattro: i 209 miliardi del Recovery Fund, il Mes (sul quale ancora non è stata definita una opzione del governo e che vale 36 miliardi), il prestito Bei per le imprese (altri 20 miliardi) e il Sure, il prestito già attivato dal ministro del Tesoro Roberto Gualtieri per 28,5 miliardi finalizzato al finanziamento degli ammortizzatori sociali nel nostro paese. Sicuramente c’è una inedita diversificazione delle fonti di provvista, ci sarà una minore pressione sui mercati, ma si profila soprattutto un risparmio rilevante in termini di spesa per interessi. Lo notano Nicola Nobile e Maddalena Martini di Oxford Economics: “Questi programmi potrebbero portare nell’arco dei prossimi dieci anni un risparmio per le casse dello Stato di 25-30 miliardi se compariamo le condizioni ipotizzate con le condizioni di mercato riservate ai titoli italiani”. Già, i tassi d’interesse. Pesano per oltre 60 miliardi all’anno sul bilancio dello Stato e sono la nostra vera palla al piede. Basti pensare che se eliminiamo dal conto quanto lo Stato paga in cedole ai sottoscrittori di titoli pubblici, la differenza tra entrate e spese è positiva per l’1,7 per cento del Pil, il cosiddetto avanzo primario che a colpi di sacrifici siamo riusciti a tenere in attivo negli ultimi tre decenni. Ora, se ipotizziamo che nei prossimi anni l’inflazione e i tassi possano salire, il nostro “mutuo a tasso fisso” con la Ue aumenterebbe di giorno in giorno la propria convenienza: riportando il rendimento del decennale italiano al 2 per cento, dall’attuale livello di circa 1 per cento, il risparmio in termini di interessi arriverebbe a 35 miliardi e con un decennale al 3 per cento – calcola Oxford Economics – salirebbe a circa 50 miliardi.Le possibilità dell’ingegneria finanziariaLo scenario dunque è in movimento: il debito fa paura, ma la cornice è cambiata. Anche se questo non significa che si debba abbassare la guardia su sprechi e utilizzo a pioggia delle risorse pubbliche. Come pure è necessario assolutamente ritrovare il sentiero della crescita, puntando – come richiama il nuovo paradigma europeo – su green e digitalizzazione. Tuttavia l’ingegneria finanziaria continua a camminare e un progetto che potrebbe abbattere i debiti pubblici in modo radicale continua ad essere studiato e coltivato in molti ambienti tecnici e politici europei come una sorta di “sanatoria” di fine pandemia. Dal marzo del 2015 la Bce acquista titoli di Stato con l’obiettivo di far risvegliare l’inflazione e soprattutto per tenere bassi tassi e spread (ha acquistato 320 miliardi di titoli italiani). Ebbene con una decisione politica Francoforte potrebbe congelare o consolidare i titoli pubblici europei che ha in pancia oppure concambiarli con titoli irredimibili. Di fatto una sorta di cancellazione del debito, magari solo quello nuovo dovuto al Covid: la Bce non incasserebbe più interessi e gli Stati non dovrebbero più preoccuparsi di pagarli. Per l’Italia andrebbe bene, anche se questa speranza non può essere un alibi per restare fermi. La Banca d’Italia, così facendo, ha cumulato in cassa 320 miliardi di titoli di Stato italiani. Su questi titoli incassa regolarmente gli interessi dallo Stato e al momento del bilancio riconosce al Tesoro una somma sostanzialmente analoga (quest’anno, tasse comprese, è stata di 8,9 miliardi). Si tratta di una sorta di partita di giro che molti vorrebbero chiudere con una operazione definitiva: trasferire al Tesoro la proprietà dei 320 miliardi di titoli di Stato, congelarli definitivamente, e abbattere il debito di oltre 300 miliardi. Basterebbe, si dice, un solo articolo di legge.