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 2020  agosto 24 Lunedì calendario

Pupi Avati: «Che grande amore i coniugi Sgarbi»

Pupi Avati, 81 anni, racconta con slancio infantile il film che sta girando, Lei mi parla ancora, dal romanzo di Giuseppe Sgarbi, padre di Elisabetta e Vittorio: «È molto al di fuori delle tendenze del cinema recente, non solo italiano, e si occupa in un modo sfrontato di sentimenti. Quando Sgarbi perse sua moglie Rina, dopo 65 anni di matrimonio, sollecitato dalla figlia Elisabetta, decise di raccontare la loro storia». Lo ha fatto in quattro libri Giuseppe, detto Nino, scomparso nel 2018. «Mi ha colpito il rapporto tra l’anziano che vuole tenere in vita questa donna che non c’è più in modo disperato e il ghostwriter a cui racconta quell’amore, un quarantenne con un matrimonio finito in tre anni, una figlia che vede poco. Il mio film racconta come nasce il libro», spiega il regista ospite del Bif&st di Bari.
Renato Pozzetto è Giuseppe (si era parlato inizialmente di Massimo Boldi, Giuseppe giovane è Nino Musella), Stefania Sandrelli la moglie (da giovane Isabella Ragonese), Chiara Caselli è Elisabetta, Matteo Carlomagno è Vittorio, Fabrizio Gifuni il ghostwriter.
Una lettera d’amore all’amore?
«All’amore che dura per sempre. La mia generazione lo diceva e lo pensava davanti al prete. Mi pare che Nino – che chiamava al telefono la figlia Elisabetta quando era davanti alla tomba della moglie per pregare insieme - abbia capito meglio di tutti gli altri che la vita è meno egoistica e limitata dalla ragione, più straordinaria, favolistica, ingenua. Mi ha commosso vedere in lui ciò che sto per essere io, con i miei 55 anni di matrimonio. Invecchiando si regredisce all’infanzia e si vuole credere ancora. Vorrei che questo film facesse pensare alla possibilità che il legame tra due persone che si scelgono, chiunque esse siano, duri per sempre. Questo è un film sulla dismisura sentimentale e io voglio ringraziare Bartleby, Duea, Vision e la Film Commission dell’Emilia Romagna che ci hanno creduto».
di Arianna Finos Com’è stato il rapporto con Elisabetta e Vittorio Sgarbi?
«Straordinario, soprattutto con Elisabetta, che fin da subito ha manifestato grande entusiasmo. Vittorio è pieno di impegni, anche nel film si vede di sfuggita. Ma con Elisabetta c’è stato un rapporto intenso di collaborazione, ci sta ospitando per le riprese nella loro casa di Ro ferrarese, una sorta di Vittoriale moltiplicato per cento, pieno di opere d’arte d’ogni genere, una casa ottocentesca che ospita la farmacia dove lavoravano i genitori».
Giuseppe lo ha conosciuto solo telefonicamente.
«Sì, tramite Elisabetta gli ho mandato una ventina dei miei film, ne parlavamo la sera. Ha amato Una gita scolastica, Storia di ragazzi e ragazze».
Com’è stato l’incontro con Renato Pozzetto?
«È stata una scoperta per me. E lui ha una sensibilità speciale su questo tema, ha perso la moglie dieci anni fa, quando sono andato a trovarlo mi ha raccontato piangendo il momento in cui l’ha perduta. Ho capito che avrebbe fatto benissimo questo ruolo, raccontato questa storia. Anch’io mi identifico nei ricordi così nitidi di Nino, il primo incontro a casa di lei, le gambe che tremavano. Caterina era la più bella del paese, abitava in quella che era stata la casa dell’Ariosto. Lui, classico ragazzo di provincia, è riuscito a conquistarla, come è successo a me. Allora le differenze sociali si sentivano parecchio».
Nella storia di Giuseppe e Rina c’è anche quella sua e di sua moglie Nicola.
«Sì, e di tutte le grandi storie d’amore. Abbiamo resistito, nei primi anni, alla tentazione di mandare tutto all’aria. Poi arriva questa età in cui ti rendi conto di aver investito bene la tua vita. Accanto a me c’è chi mi conosce in tutte le manifestazioni, quelle imbarazzanti e deprecabili, quelle in cui sono riuscito a dare il meglio di me. Durante il lockdown abbiamo vissuto completamente soli a casa. Nicola mi ha sostenuto con la sua energia solare, i tre mesi sono volati e oggi ne ho quasi nostalgia».
Non aveva mai lavorato con Stefania Sandrelli.
«Da tanto tempo lo desideravo. Ho capito perché è stata tanto amata dai registi, sul set porta gioia, calore, gratitudine. Con Pozzetto c’è stata una grande intesa. Mi ha commosso alle lacrime la scena in cui loro sono nel letto e aspettano l’ambulanza che la porterà via, lei teme di non vedere più quella casa. Lui tira fuori la lettera che lei gli aveva dato il giorno delle nozze, 65 anni prima: "Scrivevi che se ci fossimo voluti sempre bene saremmo diventati immortali, ebbene lo siamo"».
Com’è il set con i protocolli sanitari?
«Rigoroso, con i tamponi e i controlli, ma ragionevole. Si può andare in sala e ai festival. Dopo il Bif&st andrò al Festival della bellezza di Verona e poi a Venezia».
Dove riceverà il premio Bresson.
«Sono stato alla Mostra nove volte, ho vinto un premio con Noi tre, poi le Coppe a Silvio Orlando e Carlo Delle Piane. Il ricordo più bello è la prima volta: dopo tanti no, Gian Luigi Rondi volle Una gita scolastica e la reazione del pubblico in sala grande fu commovente. Da giurato ho avuto la grande soddisfazione di dare gioia a Massimo Troisi, Coppa Volpi con Marcello Mastroianni per Che ora è?. Non ci conoscevamo, venne a cercarmi e mi diede un abbraccio fortissimo. Il premio Bresson mi lusinga, è un regista che ha dato grande rilievo alla spiritualità. La sua difficoltà e necessità del credere mi è vicina».