Linkiesta, 24 agosto 2020
Chanel Totti, Brayden Harrington e la stupidità degli adulti
Se questa fosse una commedia romantica, dopo il prologo si salterebbe avanti di dieci anni. Nel 2030, quando i due tredicenni più commentati dell’agosto 2020, ormai giovani adulti, avrebbero la loro brava storia d’amore, con accenni a quei giorni in cui gli adulti erano abbastanza scemi da concentrarsi sulla loro tredicennitudine.
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Lei si chiama Chanel Totti, è figlia d’un calciatore e d’una conduttrice televisiva, una di quelle che dalla culla si sono dovute rassegnare ai paparazzi. Il che è un disastro (essere famosi è una scocciatura quando te lo sei scelto, figuriamoci quando ci nasci); il che è indifferente (è della generazione che comunque si sputtanerebbe la privacy sui social, tanto vale farlo fare ai professionisti sui rotocalchi); il che è una fortuna (essere fotografata già dall’età del passeggino ti crea anticorpi coi quali non farai mai la fine di Diana Spencer).
Lui si chiama Brayden Harrington, non ha genitori famosi, avrebbe potuto continuare un’anonima vita da tredicenne nel New Hampshire, ma evidentemente il padre aveva altre ambizioni. Pur privo di quel talento calcistico che avrebbe garantito al piccolo Brayden una qualche presenza sui rotocalchi che fotografano i famosi al mare, papà Harrington ha avuto la prontezza di portarlo da Biden. E di dirgli, davanti alle telecamere che sempre circondano un candidato alla presidenza degli Stati Uniti, «sa, anche lui balbetta».
Mentre di qua la tredicenne più nota della settimana era l’erede Totti, di là era il ragazzino che balbetta, dettaglio che non viene riferito col tono con cui si direbbe che si mangia le unghie, ma con toni epici: in un’epoca in cui in occidente non si fanno guerre e i parametri dell’eroismo si sono abbassati fino a includere il farsi fotografare con la cellulite, figuriamoci se potevano non includere la balbuzie; raccontata – senso del ridicolo l’è morto – come un trauma la sopravvivenza al quale persino Bebe Vio dovrebbe ammirare.
Brayden naturalmente gode d’un consenso pietistico assoluto: nessuno vuol essere il primo stronzo a dire che forse «mi prendono in giro perché balbetto» non è poi ’sta tragedia, e a far notare che fomentare la determinazione d’un tredicenne a sentirsi martire di due sberleffi è malsano. Nessuno vuole dire «v’immaginate se Totti si fosse messo a frignare sul proprio essere un personaggio da barzelletta, invece di farne un bestseller? Vi rendete conto di quanto è deleterio questo vostro feticismo della fragilità?».
Mi è passato davanti un tweet d’un giornalista che osava dire che forse un candidato presidente potrebbe impiegare il tempo in modi più produttivi che consolando i ragazzini che balbettano, e i commentatori se lo stavano mangiando come avesse bestemmiato ogni religione.
Chanel è anch’ella considerata unanimemente vittima, ma da angolazioni diverse. Ci sono quelli che se la prendono con la stampa, con gli schifosi direttori ed editori che, vergognatevi, mettono il culo d’una tredicenne in copertina: si sa che le tredicenni fanno il bagno col burqa, fuori dai rotocalchi. Quelli, probabilmente confusi dallo stremante dibattito sui reati d’opinione, che ritengono che, se uno commenta «bel culo» della foto d’una tredicenne, sia un conclamato pedofilo che va messo al 41 bis (da qualche parte Nabokov sta ridendo). Quelle che, ebbene sì, dicono che comunque il costume era troppo succinto per una tredicenne. Quelli così vecchi da ricordare come cominciò la carriera di Michelle Hunziker (nello stesso modo: da minorenne, con una foto in cui le si vedevano le chiappe e non la faccia). Ma tutti, tutti sono scandalizzati: come osate ridurla al suo corpo, si sa che una tredicenne è innanzitutto dialettica e buone letture.
A Chanel, sulla copertina di Gente, hanno pixelato la faccia: la carta di Treviso, la regolamentazione più stupida che la stampa italiana si sia mai data, prevede che i minori non debbano essere riconoscibili. Il risultato è che alla tapina si vedono le chiappe e non la faccia non perché sia girata, come appunto la Hunziker in quell’antica pubblicità di mutande, ma perché la faccia è digitalmente alterata, facendola sembrare una vittima di qualche reato che non si debba poter riconoscere, invece che una ragazzina che fa il bagno al mare.
Oltre a essere una regola scema, è anche applicata a casaccio: alle foto e al video di Brayden Harrington, minorenne che al congresso Dem ha parlato del grave problema della balbuzie (l’intera nazione ha trattenuto il fiato nell’esitazione tra «noi» e «balbettiamo», secondo il New York Times: chissà cosa farà la nazione quando succederà qualcosa di serio), nessuno ha pixelato niente.
È questa, probabilmente, la premessa a L’estate dei tredicenni, la commedia romantica che verrà. Sarà Chanel, nel 2030, a rimorchiare Brayden, e non lo riconoscerà dalla balbuzie, che comunque nel frattempo lui avrà superato, giacché – come gli ha detto Biden sulla fiducia, prima ancora che pronunciasse mezza sillaba – è intelligentissimo. Sarà Chanel che lo riconoscerà perché lo ha visto, sui giornali, in faccia, cosa che lui non ha avuto la possibilità di fare con lei. (Potrebbe riconoscerla dalle chiappe, ma non è detto che a 23 saranno le stesse che a 13: la ragazza ha buoni geni, ma sono pur sempre dieci anni di forza di gravità).
Sarà lei, come modernità vuole, ad approcciare lui, chiedendogli se ricordi quell’estate in cui la tredicenne in costume era un inaccettabile fenomeno di sessualizzazione, il tredicenne che aveva ancora tutto da dimostrare era comunque intelligentissimo, e insomma era chiaro che questi grandi non capivano proprio niente, e ce ne si poteva approfittare. Te la ricordi, quell’estate, Brayden? Altroché, Chanel.