Corriere della Sera, 23 agosto 2020
Quando Hitchcock chiese aiuto ad Age e Scarpelli
Il 60° film di Alfred Hitchcock, il suo quart’ultimo, non fu nel 1966 un campione di incassi, né un cult della critica, ma visto oggi batte tutti e fa rimpiangere il talento di un grande. Che, a 67 anni, per Il sipario strappato, indeciso, chiese un parere sullo script anche ai nostri Age e Scarpelli (che non ne erano entusiasti).
Privato del suo direttore della fotografia, del musicista di fiducia Bernard Herrmann, che non si piegava al diktat del song voluto dai producer, del fedele montatore, Hitchcock si trovò a lavorare con una nuova troupe e un nuovo sistema di luce filtrata.
Anche i due protagonisti erano stati imposti, Julie Andrews (la preferita era Eve Marie Saint), reduce dai trionfi canterini di Mary Poppins, Hitchcock aveva sempre paura che si mettesse d’un tratto a gorgheggiare, mentre Paul Newman non era un americano old style alla James Stewart. «Lui è un attore del metodo», confidò Hitchcock a Truffaut nell’immortale intervista: non sembra un complimento. L’intrigo (simile a quello a Stoccolma di Mark Robson), è classico da spie venute dal freddo: il fisico americano che finge di tradire la patria e, inseguito da fidanzata segretaria, si spinge fino a Berlino Est per rubare i segreti nucleari scoperti dai tedeschi. Noi in platea, come sempre, siamo messi al corrente.
Classico doppio gioco, sorvegliato da Hitchcock con tutti gli onori e alcuni momenti di gloria (la fuga in corriera, l’incendio in teatro) ma soprattutto un crudele assassinio in una fattoria, con mezzi di cucina e testa nel forno, uno degli omicidi più lunghi e cruenti nella carriera dell’autore di Psycho, che qui compare nella hall di un hotel. Hitchcock, per immergersi nel mood giusto, aveva fatto prima delle riprese un tour a Copenhagen, Berlino, Svezia e Lipsia. Diviso in tre atti e tre sospetti, il film inquadra stupori e sospiri di miss Andrews, futura immensa Victor Victoria.