Corriere della Sera, 23 agosto 2020
Carcere a vita per il serial killer del Golden State
Joseph James DeAngelo si alza e resta in silenzio per una ventina di secondi. Si toglie la mascherina lentamente, respira. Il giudice della Superior Court della contea di Sacramento, Michael Bowman, gli ha chiesto se avesse qualcosa da dire prima della sentenza. Quest’uomo di 74 anni è il «Golden State Killer», uno dei più crudeli criminali della storia recente americana. Ha ucciso 13 persone, violentato più di 50 donne, diffuso il terrore in California dal 1973 al 1986. Poi è sparito per 32 anni, fino alla cattura nell’aprile del 2018.
La fase finale del dibattimento è durata tre giorni. Le udienze si sono tenute nella grande sala delle cerimonie all’università statale di Sacramento per poter ospitare i familiari delle vittime, il pubblico, i giornalisti. Ed eccoci al 21 agosto, 2020. DeAngelo è ritto, la maglia bianca gli casca un po’ dalle spalle magre. La pausa è lunga. Poi si sente la sua voce ferma: «Ho ascoltato tutte le vostre affermazioni. Una a una. E sono veramente dispiaciuto per tutti coloro che ho ferito».
Il giudice Bowman riprende la parola. È il momento della sentenza: «DeAngelo trascorrerà il resto della sua vita in un penitenziario. Non perché non meriti la pena di morte. Ma in California è in vigore una moratoria.
Ma non è finita. Subito dopo la procuratrice generale della contea di Sacramento, Anne Marie Schubert convoca una conferenza stampa e fa proiettare alcune immagini. L’opinione pubblica scopre che DeAngelo è stato condotto in aula con una sedia a rotelle. Poi scorre una clip girata il 1° giugno. Si vede il pluri-assassino nella sua minuscola cella. Non sembra così malridotto. Fa ginnastica, con piccoli saltelli e muovendo le braccia. Si arrampica sul tavolino per attenuare la luce del neon con qualche straccio. Commenta la Procuratrice Schubert: «Guardate, quest’uomo non è certo un fragile anziano, come ha cercato di farci credere. È ancora il sociopatico che era 45 anni fa».
I racconti dei testimoni sono stati raccapriccianti. Il Washington Post riporta i ricordi di una donna sui sessant’anni. Ne aveva solo sette quando una notte fu svegliata da un tonfo. Entrò nella camera da letto e vide sua madre distesa, legata e imbavagliata. Di fianco c’era un uomo con il volto coperto. La donna disse agli investigatori che «quel mostro» l’aveva minacciata: se non stai ferma, vado di là e torno con un orecchio della bambina. Quel «mostro», «crudele come Hannibal Lecter», era DeAngelo.
Il suo percorso sbalordisce. Nato a Bath, nello Stato di New York, segue l’esempio paterno, un sergente dell’esercito. Nel 1964 si arruola nella Marina militare e viene dislocato in Vietnam. Torna dalla guerra e frequenta un corso di criminologia al Sierra College di Rocklin, in California. Nel 1971 consegue un altro titolo in giustizia criminale alla Sacramento State University. Subito dopo entra in polizia e viene assegnato all’unità anti-scasso di Exeter, un piccolo villaggio di cinquemila abitanti, disperso nella California meridionale.
Il 1973 è un anno cruciale. DeAngelo si sposa con Sharon Marie Huddle, da cui avrà tre figlie. Nello stesso tempo, comincia la sua seconda vita da criminale, con un furto in una casa di San Joaquin. Poi il primo omicidio.
È un agente scorbutico, potenzialmente rissoso. Nessuno immagina sia un serial killer. Nel 1980 ruba un martello e un repellente per cani. Viene espulso dalla polizia. Ma nel frattempo è già precipitato nell’abisso. Rapine, uccisioni, stupri. Nel 1986, improvvisamente, si ferma. Imprendibile, fino a quando l’investigatore Paul Holes non studia i campioni del Dna ritrovati sulle vittime. Con le nuove tecnologie e le nuove banche dati è possibile ricostruire l’albero genealogico dell’assassino. La latitanza del Golden State Killer finisce nel 2018.