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 2020  agosto 23 Domenica calendario

Il primo anno di presidenza Wall Street va male

Se la storia insegna, un grande se tra gli interrogativi sul lascito della peggior pandemia in un secolo, l’anno che verrà potrebbe non essere tra i più fortunati a Wall Street. Negli annali di Borsa, spesso i dodici mesi inaugurali dopo le elezioni per la Casa Bianca sono i più deboli del mandato, a volte con performance poco più che stagnanti. Chi studia la sovrapposizione di ciclo politico e azionario sottolinea che eventi quali crisi economiche, guerre e mercati ribassisti dell’Orso tendono a imporsi con maggior frequenza. Ma questa regola è tutt’altro che ferrea e per trovare una smentita – e tenere alta l’incertezza – basta guardare a quanto avvenuto sotto gli ultimi due presidenti, tanto il repubblicano Donald Trump che il suo predecessore democratico Barack Obama.
Nel primo anno di Trump da Presidente, l’S&P 500 ha marciato del 23%, il miglior andamento sotto un leader repubblicano, persino Ronald Reagan. Né quel “Trump rally”, nonostante i vanti della Casa Bianca, è stato il migliore in assoluto: non ha battuto i record stabiliti nel periodo inaugurale di un mandato da tre leader democratici, Obama per due volte, Franklin Delano Roosevelt altrettante e Bill Clinton.
L’andamento della Borsa, avvertono i critici delle teorie sul ciclo presidenzial-azionario, è in verità più legato ai cicli di business che a quelli elettorali. Quindi oggi molto dipenderà dal futuro del coronavirus e dello shock globale che ha scatenato, dall’andamento dei bilanci aziendali e dal rischio che i titoli siano sopravvalutati.
Il passato offre tuttavia lezioni quantomeno ispirate alla cautela nell’anno post-elettorale. Le analisi mostrano che dal 1833 il Dow Jones ha guadagnato in media circa il 2,5% nei dodici mesi all’indomani delle urne per la Casa Bianca, contro il 4,2% del secondo anno, il 10,4% del terzo e il 6% dell’anno delle urne. L’S&P, in un’analisi al netto dei recenti exploit sia di Trump che di Obama, in oltre un secolo ha sua volta evidenziato rialzi medi del 3,4%, inferiori a successivi 4%, 11,3% e 9,5 per cento.
Il “colore” partitico della nuova Casa Bianca, più in dettaglio, può contare: contrariamente alla convinzione che un leader repubblicano sia meglio accolto dalle piazze azionarie, dal 1952 alla prima metà del 2020 il rendimento reale del mercato è stato pari al 10,6% su base annua sotto presidenti democratici e del 4,8% sotto i repubblicani. Su tutti svetta Clinton, con un’impennata cumulativa del 210 per cento.
Nel post-urne del 2020 le variabili politiche appaiono particolarmente numerose, a seconda di un successo democratico oppure repubblicano: in gioco sono retromarce o conferme di ingenti sgravi fiscali anzitutto alle imprese, strette normative o rilanci della deregulation, dimensioni e natura di continui aiuti e stimoli all’economia e maggior stabilità o scontri con la Cina.
La Casa Bianca non è la sola posta in palio ad avere il potere di influenzare la Borsa. Il controllo o meno del Congresso è destinato a rendere più o meno facile il passaggio di riforme e iniziative: nel biennio successivo ad un voto, che sia presidenziale o di metà mandato, l’S&P 500 ha guadagnato mediamente il 16,9% quando un partito conquista Presidenza e Parlamento, percentuale che scende al 15,6% quando il Presidente affronta invece un Congresso in mano all’opposizione e a solo il 5,5% quando democratici e repubblicani si spartiscono Camera e Senato. Anche se non mancano, qui come già altrove, eccezioni: nel novero delle elezioni presidenziali, il biennio tra il 2012 e il 2014, alle prese con un Congresso diviso, mise a segno un’impennata del 42% nell’S&P 500.