La Gazzetta dello Sport, 23 agosto 2020
In morte di Sandro Mazzinghi
Il suo spirito indomito e tormentato forse adesso troverà la pace. Perché per lunghi tratti della sua vita, dentro e fuori dal ring, Sandro Mazzinghi ha dovuto battagliare non solo contro gli avversari, ma pure contro il destino avverso e quell’insopprimibile rabbia interiore che accompagna per forza chi ha conosciuto le bombe e la fame della guerra. Ma se anche l’Italia può vantare il suo guerriero sempre all’attacco, il picchiatore in grado di cambiare le sorti di un match con una sola serie, lo deve al Ciclone di Pontedera, la città natale dove è morto ieri a 81 anni per le conseguenze di un’ischemia.
Il primo Mondiale
Tra la pareti di casa Mazzinghi, al quartiere Belladimai, il rumore dei guantoni è familiare, perché il fratello Guido, di sei anni più anziano, è un eccellente pugile, quinto all’Olimpiade di Helsinki 1952 e poi campione italiano dei medi tra i professionisti. Sandro lo segue di nascosto in palestra, lontano dagli occhi di mamma Erminia, che non tollererebbe un altro figlio in giro a prendere pugni. Il piccolo, però, si innamora ben presto della boxe, abbandonando le velleità ciclistiche: nel 1960 è un prospetto olimpico per Roma, ma nelle selezioni per i superwelter gli viene preferito Carmelo Bossi. Lui si consola con il titolo mondiale militare del 1961. E, subito dopo, con Guido come consigliere, passa professionista con la scuderia Ignis del cavalier Borghi, che per tutta la carriera sarà una sorta di secondo padre. Combatte nei medi, ma nel 1962 il Wbc e il Wba introducono anche nel professionismo la categoria dei superwelter, che da quel momento diventerà il suo abito perfetto. L’anno dopo Angelo Dundee, poi mentore di Clay/Ali, per lanciare la categoria in Europa gli offre 19 milioni di lire, cioè l’equivalente di 240 mila euro di oggi (un operaio guadagna 70.000 lire al mese...) per il Mondiale contro Dupas: al Vigorelli di Milano, Mazzinghi, che non ha mai disputato neppure un titolo italiano anche se è al 29° incontro, compie il primo capolavoro della carriera: k.o. tecnico al 9° round.
Il grande rivale
Nel contratto ovviamente c’è la clausola per la rivincita e, neppure due mesi dopo, a dicembre, Sandro è a Sydney (città adottiva di Dupas) per difendere la corona: al 13° round di una sfida furibonda mette tre volte al tappeto l’americano e si conferma, anche se torna in Italia con 136 punti di sutura in regalo. Intanto, all’orizzonte, si profila l’ombra di un rivale pericolosissimo, che ha la sua stessa età e soprattutto è italiano. Nel Paese dei guelfi e dei ghibellini, di Coppi e Bartali, di Mazzola e Rivera, il confronto tra Mazzinghi e Benvenuti è destinato a infiammare gli animi e a eccitare i media, alimentato dall’assoluta incompatibilità, tecnica e caratteriale, tra i due. Nino è il bello e predestinato e possiede una scherma tecnica ed elegante; l’altro è un fighter, è sgraziato e ha la lingua tagliente dei toscanacci. L’incrocio bollente sarà inevitabile, ma prima il campione del mondo convola a nozze con l’amata Vera. Appena 12 giorni dopo, però, il 2 febbraio 1964, il fato gli gioca uno scherzo terribile. Con la sua Bmw, Sandro scivola sul ghiaccio e finisce la corsa contro un albero: la moglie muore sul colpo e lui si ritrova in ospedale con la base cranica fratturata. Si riprende a fatica e dopo due difese iridate (contro Montano e Manca), la federazione gli impone il match con lo sfidante ufficiale, cioè Benvenuti. Lo storico derby si disputa il 18 giugno 1965 a San Siro e, dopo due anni di battage, incredibilmente il pubblico (12.000 spettatori) non è adeguato all’evento. Nino si impone per k.o. al 6° round grazie a un montante destro, però lo sconfitto accuserà il suo clan e quello del neocampione di aver accettato il match nonostante lui non avesse ancora recuperato dal trauma cranico. Le recriminazioni portano subito alla rivincita, sei mesi dopo (17 dicembre) al Palaeur di Roma. A bordoring c’è il gotha dello spettacolo italiano, da Walter Chiari a Mina, e Benvenuti vince di nuovo, ai punti in 15 riprese, anche se per il verdetto (molto stretto) occorrerà aspettare un’ora e i tifosi di Mazzinghi usciranno dall’arena inferociti. È la fine di qualsiasi rapporto tra i due: per anni il Ciclone di Pontedera sosterrà che l’atterramento del secondo round che gli è costato due punti e in sostanza la vittoria fosse in realtà una scivolata.
L’ultima impresa
Ma Sandro è come le pile, si carica con l’energia delle polemiche. Così l’anno dopo è campione europeo e, nel 1968 ’organizzatore Strumolo gli offre l’opportunità di tornare campione del mondo contro Ki-Soo Kim che a sorpresa ha detronizzato Benvenuti. Per venire in Italia, il sudcoreano vuole 55.000 dollari (34 milioni di lire, 340 mila euro di oggi) e si presenta 4 chili sovrappeso, rifiutando di salire di nuovo sulla bilancia quando la sfida viene rinviata di un giorno per pioggia. Il 26 maggio a San Siro, davanti a 30.000 spettatori (27.000 paganti, 100 milioni di lire di incasso), Mazzinghi compie l’ultima impresa e vince ai punti. Solo cinque mesi dopo deve perdere due chili in 12 ore alla vigilia della difesa contro il temibile Freddie Little, e sul ring del Palaeur si trasfigura presto in una maschera di sangue per le ferite alle arcate sopracciliari. Fino all’abbandono dell’ottavo round, sanzionato come un no contest che gli conserverebbe la cintura: invece, dopo le proteste dei due enti (Wbc e Wba) gli viene tolta dopo qualche giorno per errore tecnico arbitrale. È il tramonto. Nel 1970 il primo ritiro, seguito da un nostalgico rientro per altri tre match nel 1977, alla soglia dei 40 anni, per intercessione addirittura di Andreotti: un suo incontro inaugurerà i programmi tv di Antenna 3 Lombardia con Enzo Tortora presentatore. Da allora, finalmente, la serenità nella casa di Cascine di Buti dove coltiva la terra e alleva mucche e galline circondato dall’affetto della seconda moglie Marisa e dei figli David e Simone. Il tempo poi lenisce i brutti ricordi e, dopo più di 40 anni, arriva anche la riconciliazione con Benvenuti. L’ultima immagine di Mazzinghi è in un video durante il lockdown in cui incoraggia i concittadini di Pontedera. Cuore di campione. Fino all’ultimo.