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 2020  agosto 23 Domenica calendario

I 70 anni di Luigi Del Neri. Intervista

Sono 70, ma ne dimostra e se ne sente tanti di meno: «Meno 15, diciamo. Ho passione, voglia, entusiasmo. Non vedo l’ora di cominciare l’avventura con il Brescia, dobbiamo riportare in A una squadra e una città». Gigi Delneri compie 70 anni e ritorna in pista, al Brescia in Serie B, con Cellino presidente e con Perinetti direttore tecnico: «In tre accumuliamo un bel capitale di esperienze e conoscenze».
Prima di diventare allenatore, è stato calciatore. Che giocatore era Delneri?
«Un centrocampista senza un fisico importante: ero veloce nell’esecuzione, vedevo il gioco prima degli altri, avevo il gusto dell’assist. Ho giocato per tanti anni nel Foggia, poi nell’Udinese e nella Samp».
Delneri allenatore farebbe giocare Delneri giocatore?
«Credo di sì. Mi schiererei regista, sarei allenato con i metodi di oggi. Gianni Rivera, il centrocampista di riferimento della mia generazione, farebbe la differenza anche oggi, preparato a dovere».
Si è mai rivisto in qualcuno?
«Per anni in Eugenio Corini: gittata lunga, visione. Oggi mi piacciono Locatelli del Sassuolo e il nostro Tonali, però noto un impoverimento numerico. I giocatori bravi ci sono, ma sono sempre meno. Quando giocavo io, nel mio ruolo, oltre a Rivera, c’erano Antognoni, Pecci, Zaccarelli, De Sisti, Merlo, per citare soltanto i primi che mi tornano in mente».
Chi è stato il suo maestro?
«Ho appreso tanto da Massimo Giacomini (ex tecnico di Udinese, Milan, Torino, ndr). Persona seria, mi ha insegnato a gestire il gruppo. Sul piano tattico-strategico gli allenatori della mia età sono stati folgorati da Sacchi. Ciascuno ha elaborato il sacchismo a modo suo. Io adesso ricerco l’armonia tra gioco collettivo e qualità individuali. Credo che un allenatore debba accompagnare la squadra fino all’area e che da lì in poi debba concedere libertà e creatività».
Il giocatore più forte che abbia mai allenato?
«Totti era completo: destro, sinistro, tutto. Prevedeva il gioco, correva, aveva un gran fisico, era in grado di ricoprire più ruoli. Avrebbe potuto giocare in difesa o in porta: scherzo, ma non troppo. Io avevo una mezza idea di trasformarlo in un regista alla Pirlo, ma come potevamo privarci dei suoi gol? Totti è stato un universale. Non ho mai visto Di Stefano (fuoriclasse del Real tra gli anni 50 e 60, ndr), ma tanti mi hanno raccontato di come sapesse fare tutto. Credo che Totti, fatte le debite proporzioni di palmares, si possa avvicinare a Di Stefano».
Al Chievo, con il quinto posto del 2001, e alla Samp, con il pass per i preliminari Champions nel 2010, ha ottenuto migliori risultati: ha lasciato il cuore a Genova o a Verona?
«Penso che la favola del Chievo sia qualcosa di unico. Una squadra di un borgo di Verona che infastidisce le grandi del calcio italiano, con la forza di un gioco bello e di giocatori bravi. Negli anni al Chievo ho avuto futuri campioni del mondo come Barone, Perrotta e Barzagli, e poi Corini, Marazzina, Corradi, Legrottaglie... Al Chievo giocavamo un calcio ancora attuale per intensità e attacco allo spazio. Oggi molti procedono “palla addosso”: noi al Chievo mai, sempre diretti, in corsa, aggressivi. E facevamo un fuorigioco in stile Milan di Sacchi, cosa non più possibile perché hanno cambiato la regola. La Samp può ritornare in Champions, il Chievo di nuovo quinto in A è dura immaginarlo».
Nel 2010-11 la sua grande occasione, alla Juve, però non andò bene: 7° posto e saluti.
«Non eravamo una squadra da scudetto, ma da terzo-quarto posto sì. Nel ritorno persi per infortunio giocatori chiave, come Quagliarella. Ho ottimi ricordi, una grande società, e capisco come un settimo posto alla Juve non possa bastare, però non butto via quella stagione. La maglia bianconera pesa e un conto è se la indossa Ronaldo e un altro se la vestono giocatori meno abituati alle pressioni».
Certi tifosi le rinfacciano ancora Krasic.
«E non capisco perché, era un buon esterno e segnò sette gol in campionato, tanti per un’ala. Ai tifosi ricordo che con me arrivarono Bonucci e a gennaio Barzagli: quest’ultimo lo caldeggiai io, memore di quanto avesse fatto bene al Chievo».
Che cosa ne pensa di Pirlo nuovo allenatore della Juve?
«In apparenza sembra una scelta azzardata, ma alla Juve prendono decisioni ponderate. Le sue conoscenze sono ampie, è stato un grande giocatore. Il mestiere di allenatore è diverso e sarà aiutato. Mi dispiace per Sarri, come me venuto dalla gavetta. Maurizio ha qualità indubbie, ripartirà in fretta».
Che calcio dobbiamo aspettarci dal suo Brescia?
«La difesa a quattro e tanta propositività, ma non amo il possesso palla prolungato, con me niente costruzioni dal basso. Io sono per la verticalità e per il movimento. Cinque si muovono e una riceve il pallone, bisogna correre negli spazi».
Klopp o Guardiola?
«Klopp perché il suo Liverpool ha dinamismo e fisicità, ma il calcio di Guardiola è cambiato, è diventato più “verticale”»