La Stampa, 23 agosto 2020
A Cuneo ci si vergogna dei clochard
Indecorosa è la povertà, non i poveri. È una verità che andrebbe sempre ricordata. Ma che (quasi) sempre viene dimenticata. O rovesciata. Lo testimoniano le tante ordinanze comunali sul “decoro urbano”, regolarmente destinate a tenere a distanza dai luoghi della nostra vita sociale le figure del limite, i poveri estremi, i barboni, i questuanti e i senza fissa dimora, a maggior ragione se “migranti”.
Da ultimo è toccato alla paciosa Cuneo, emettere i propri interdetti, con la minaccia di ammende da 500 euro per chi bivacchi negli spazi pubblici cittadini e la possibilità di arrivare al “daspo” (al divieto di ingresso nel territorio comunale, come per gli ultras del calcio) per i recidivi. Ma la pratica della “messa al bando” del povero considerato in sé “molesto” ha una storia affollata e condivisa in modo politicamente trasversale: aveva incominciato nel 2008 Graziano Cioni, assessore alla Sicurezza nella giunta fiorentina del sindaco Domenici (l’ultima di “sinistra-sinistra"), a dare battaglia ai mendicanti che, “causando pericoli per i pedoni”, si sdraiavano sui marciapiedi del centro storico. Era seguito poi uno sciame di 788 ordinanze emanate tra il 2008 e il 2009 da 445 sindaci in prevalenza del nord e in buona parte leghisti, sulla scia del Pacchetto Sicurezza del neo-ministro dell’Interno Maroni, prevalentemente mirate a tutelare il decoro urbano sterilizzando le città dalla presenza visibile degli indigenti. E carsicamente la cosa si ripete, ogniqualvolta segnali di crisi si affaccino all’orizzonte, e il timore dell’impoverimento dei più suggerisce a chi ha responsabilità di amministrazione di togliere dalla vista l’immagine di chi in povertà già c’è.
Beninteso: il moltiplicarsi negli spazi della vita cittadina di “ombre della strada”, portatrici delle stimmate della miseria e del bisogno estremo, è di per sé cosa perturbante. L’immagine di una società fragile e a rischio di sfaldamento. Ed è sicuramente più facile rispondere all’inquietudine dei cittadini tentando di “farle sparire” per decreto, magari spostandole di qualche decina di chilometri, che non tentare di contrastare le radici del fenomeno – combattere, appunto, la povertà anziché i poveri -, e predisporre strutture di sostegno e di accoglienza, posti letto e mense, sportelli e regole di avviamento al lavoro. Ma è questa seconda via quella da seguire per una “buona amministrazione”, che non si limiti a nascondere la polvere sotto il tappeto, ma sappia rispondere tanto alla domanda di decoro dei propri amministrati, quanto a quella di rispetto della dignità di tutte le persone, non solo di quelle che stanno dalla parte giusta della vetrina.
Ogni volta che questa storia si ripete, mi torna in mente un brano di Baudelaire, dai “Fiori del male”, intitolato “Gli occhi dei poveri": in esso il poeta, seduto all’interno di un caffè parigino, vede, sul marciapiedi, tre figure cenciose, un padre con i due figlioletti, gli occhi spalancati ad ammirare l’interno lussuoso e, commosso, si rivolge all’amata, certo di veder ricambiato il proprio sentimento, ma al contrario si sente dire: “Questa gente, con quegli occhi spalancati come portoni, mi è insopportabile! Non potreste chiedere al maître di allontanarli da qui?”.
"Tanto difficile è capirsi, caro angelo mio! – sarà la conclusione – E il pensiero è a tal punto incomunicabile, anche fra coloro che si amano!”.