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 2020  agosto 23 Domenica calendario

Il papà di Gioele e la contro-indagine

Quando si è accorto di avere un cuore troppo grande per due occhi soltanto, papà Daniele si è affidato ai mille occhi dei social e ha iniziato la sua contro-indagine su Facebook. E, novità assoluta per l’Italia che pure di controprocessi ormai si nutre, è iniziata appunto su Facebook la meno spettacolare e la più efficace controinchiesta della nostra storia giudiziaria. E va bene che non si commenta la cronaca nera, ma un abbraccio forte a papà Daniele bisogna mandarlo, per la difesa che fa della moglie che «mai avrebbe potuto fare del male al suo bambino», che è la prima cosa che si pensa di una madre, anche se è disturbata. Ma soprattutto perché, grazie al dolore e alla tenacia di papà Daniele, Caronia rischia di diventare uno di quei piccoli posti del mondo dove l’epoca si scopre. A Caronia infatti potrebbe esplodere il conflitto tra la giustizia inefficace a norma di regolamento e la giustizia fai-da-te, la forza dell’autorganizzazione dal basso contro il fallimento dell’organizzazione dall’alto. Dal punto di vista del Diritto italiano Caronia è pericolosa, come mettere le dita nella presa.
Dunque a papà Daniele, di professione disc jockey, con la sala di registrazione a casa, sono bastati due post e un appello su Facebook alla comunità delle discoteche che, nell’Italia profonda, non è la banda dei riccastri di Briatore, ma è gente che a fine settimana prova a dimenticarsi, e il lunedì mattina indossa la divisa della fatica e ricomincia a lavorare in paese, in campagna, tra le impalcature dell’edilizia. Leggete il post con cui papà Daniele ha iniziato a processare e anche a ridicolizzare la procura di Patti, e senza mai affidarsi – speriamo che resista! – alla folla cieca delle piazze televisive, e ci auguriamo che non si consegni anche lui ai vari avvocati alla Taormina e alla Biscotti, senza proclami, senza andare nei talk che sono le giostre dell’Indignazione e della Pietà. Quel post del disk jockey Daniele Mondello dovrebbe diventare il codice della Protezione civile. La prosa è certamente migliore di quella delle task force, non c’è la pomposità che abbiamo visto durante il lockdown, non ci sono gli spavaldi, vestiti da operai di Junger. Eccolo: «Invito tutti quelli che si vogliono unire alle ricerche di mio figlio Gioele a presentarsi mercoledì 19 agosto presso il centro di coordinamento sulla statale 113 al distributore di benzina Ip di Caronia. Saremo lì intorno alle 7.30. Si raccomanda di indossare abbigliamento adeguato, pantaloni lunghi e maglie con le maniche lunghe per proteggersi dai rovi. Indossate un cappellino per il sole e possibilmente portate l’acqua da bere da tenere nello zainetto insieme alle magliette di ricambio».
Si è così formato il gruppetto dei volontari, giovani e vecchi, vicini di casa e parenti, che ha ritrovato il corpicino di Gioele, non in un anfratto sperduto nella campagna ma a trecento metri dall’incidente. E papà Daniele ha ora postato pure un video dove un operatore segue e filma un militare in tuta mimetica che sembra Harrison Ford nei panni di Indiana Jones alla ricerca dell’arca perduta: «È così che cercavano mio figlio?». A trovarlo infatti non sono stati loro, ma è stato, come si sa, uno dei volontari, l’ex carabiniere Giuseppe Di Bello, conoscitore della montagna e cacciatore dei funghi nascosti a terra e camuffati tra le foglie. Un pensionato dell’Arma di 66 anni ha dunque mortificato gli “scientifici” che per sedici giorni avevano battuto invano ogni centimetro analizzando ogni cosa visibile e invisibile, i reparti speciali dei carabinieri e della guardia di finanza, i cani molecolari, i cacciatori di latitanti, i vigili del fuoco e i forestali della polizia… Erano coordinati dal procuratore Angelo Cavallo che, in camicia bianca sbottonata sul petto, non ha mai chiesto scusa per non aver trovato il corpicino, non ha ringraziato Di Bello e neppure si è rifugiato nel vecchio buon senso dei proverbi della sua Sicilia: “‘mbriachi e picciriddi, centu occhi li devono cercare”.
Eppure, diciamo la verità, nei primi giorni gli investigatori davano fiducia perché parlano come Montalbano, il poliziotto dal quale vorremmo tutti essere protetti e dal quale persino gli assassini vorrebbero essere smascherati e arrestati, l’unico investigatore che risolve i casi difficili e ha ancora il talento delle indagini senza intercettazioni e senza cimici. Ma la Sicilia vera non è quella di Camilleri e il ritmo del dialetto, che è così simpatico, può esprimere una chiusura, un argine, una paura.
Eppure Caronia non è come la racconta il solito folklore, non è il sud dell’antropologo De Martino, il sud della fine del mondo, dei tarantolati, dei tarocchi, della vita giocata al lotto, dell’onore di un uomo custodito dalle anche di una donna. È un magnifico borgo medievale, lambito da un bosco di querce e di sugheri, con il suo castello normanno e la sua origine saracena. E venerdì sera nella piazza di Venetico Marina persino la veglia funebre voluta da papà Daniele è stata “riparata”, religione forte e spiritualità laica, una civiltà che non ti aspetti a metà strada tra Messina e Palermo, proprio dove arrivano alla spicciolata gli esorcisti con gli aspersori che dicono di cercare il diavolo ma in realtà se lo portano appresso: cacciandolo lo introducono. Mai papà Daniele ha usato la religiosità della moglie, la “crisi mistica”, il disagio mentale di Viviana Parisi che forse voleva andare alla “Piramide della luce”, un’installazione alta 30 metri in acciaio corten, ruvido e marrone, non certo tra le peggiori d’Italia. Vi assicuro che non è quel totem dall’arcaico significato, ma un tentativo d’arte elementare, come la sfera nella chiesa del Quaroni a Gibellina, o il cubo dell’architettura caprese, greca e algerina, banalità che solo in Sicilia vengono raccontate come misteriche. È vero che a giugno vi si svolge il “rito della luce” e ci sono gli scavi dell’antica Halaesa, ma sono innocue ritualità, meno esoteriche dei raduni dello yoga.
E va ricordato che la contrapposizione tra inquirenti e familiari non è certo una novità. Ma qui non è solo il merito che viene contestato, ma il metodo. È naturale che papà Daniele e i familiari non credano alla pista dell’omicidio-sucidio che la procura di Patti sta seguendo, e certo noi non conosciamo tutti gli elementi dell’indagine. Delle testimonianze, dei video e delle ricostruzioni ci arrivano i rumors e gli spifferi: il bimbo è stato visto vivo e sano, anzi no era già ferito, forse la madre lo ha strangolato, e i corpi sono stato aggrediti dai cinghiali… C’è il partito della procura e quello di papà, il Paese si divide come per Inter e Juve, Caronia accende il tifo che in Italia è ultrà perché ultrà sono tutte le emozioni collettive che prendono alla gola e sempre sono emozioni senza pensiero. La cronaca nera è quella di sempre, con l’odiosa deriva selvaggia che attizza e ti fa dimenticare quella mamma e quel bambino… Nel pantografo finiscono le ferite, il sangue, le manine che si chiudono, la bara e le lacrime del padre. Non è vero che lì c’è il Dio dei dettagli, la storia concentrata. Al contrario, c’è la fuga dalla notizia alla morbosità. E più ti avvicini e più ingrandisci il dettaglio morboso più Dio si allontana da te, dal giornale, da tutti.
Ma questa è storia vecchia. Di nuovo c’è la controinchiesta di papà Daniele, la controinchiesta su Facebook… La giustizia fai-da-te di papà Daniele ci dice chiare certe cose oscure, e cioè che Daniele sta facendo quello che a volte tutti vorremmo poter fare e magari dovremmo pure farlo. La sua aria da siciliano commosso e commovente, il sole tatuato sul braccio, il ciuffo libero, la musica, il silenzio… è diventata persino bella quella sua faccia di marito e di papà che cerca il distacco e trova la passione, la faccia di un uomo che abituato a prendere le cose di faccia vuole negarsi alle lacrime e non ci riesce. Ma non si comporta mai da selvaggio, non è il duro che emette la sua sentenza e la esegue. È il ragazzo lucido e per bene che decide di indagare, non da solo ma insieme a tutto il suo paese, per mostrare al mondo “il fallimento” (la parola è sua) della giustizia delegata in Italia.