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 2020  agosto 22 Sabato calendario

Il secolo breve delle donne

Aspirante femminista quando Kate Millet venne a Milano a presentare La politica del sesso (1971) in un Piccolo Teatro debordante di sole donne, che volevano capire perché non si erano ancora accorte di essere infelici in quanto donne, ed era arrivato il momento di saperne di più; oggi nelle piazze di paese altre donne si accalcano pazze d’amore per il loro Capitano, elemosinando un selfie unto di salsiccia e poi Linda, Enza, Debby, Jana, Isa, Daniela e altre centinaia su Facebook si firmano sue fan più attive. Spiace dirlo ma molte di loro come i loro uomini non sanno scrivere.
Quasi femminista quando le ventenni Maria Rosa Dalla Costa dall’Università di Padova e Leopoldina Fortunati da quella di Udine più loro seguaci (1979) iniziarono una battaglia rivoluzionaria perché le doverose faccende di casa connesse con la donna, fossero riconosciute come un vero lavoro, il lavoro domestico, meritando quindi un salario. L’opposizione era soprattutto marxista, che riteneva lavoro solo quello in fabbrica. Naturalmente neppure in quel momento in cui stavano rivoltando la storia il pensiero la società, le donne furono ascoltate; oggi quel denaro si chiama reddito di cittadinanza e lo ricevono più uomini che donne purché non lavorino.
Femminista quando nel 1983 si formò all’università di Verona la società filosofica femminile Diotima sul “pensiero della differenza” (Luisa Muraro, Adriana Cavarero e altre, pure fondatrici della Libreria delle Donne di Milano, meravigliosa oasi tuttora molto frequentata da chi è in cerca di sapienza). L’ardito gruppo irritò moltissimo i filosofi maschi sicuri da sempre che le donne non potessero avere un pensiero, e infatti già dal 1970 si erano sentiti oltraggiati da quello “Sputiamo su Hegel” della geniale Carla Lonzi. Al Giorno, dove allora lavoravo, chiesi se potevo parlarne e rischiai il licenziamento; adesso altre donne di pensiero femminista si oppongono all’approvazione della legge contro omofobia e transfobia (che chiederebbe di non prendere a bastonate omo e trans consentendo però di dire, pardon, bimbi state attenti a froci, froce et similia). Perché si oppongono? Per la scelta di una sola parola che certo ha un grande significato nel definire l’identità delle persone: di genere o di sesso?. Il pelo nell’uovo ha una sua consistenza etico-politica-biologica, però comprensibile soprattutto a iniziati del ramo, dato ormai l’acclarato nostro rifiuto di perder tempo per approfondire.
Non si potrebbe quindi venire a un compromesso tanto per non essere elogiate dalla Nuova Padania e da certi vetusti studiosi i cui demoni privati suggeriscono di equiparare l’omosessualità a pratiche vivaci come il sadomasochismo e la zoofilia? E anche per permettere di mettere subito in galera i bastonatori transofobi e poi discutere io l’utero ce l’ho e tu no?
Non che in passato femministe e donne in genere fossero meglio (però forse sì), ma c’era una giovinezza diversa, con altre speranze, altre mete da raggiungere, altro impegno: e quelle mete allora sono state raggiunte, le più importanti, quelle legislative, con la spaventata ma eroica collaborazione dei maschi meno scemi, e da governi democristiani. Ogni conquista oggi pare ovvia, dovuta da sempre e per sempre, ma non è così, tanto che il mese scorso per esempio è stata proprio una gentile signora di potere, governatrice dell’Umbria, a tentare, senza riuscirci causa intervento anche maschile, di intrufolarsi nelle nostre scelte segrete, per far regredire almeno nella sua regione, uno dei diritti acquisiti più importanti (interruzione di gravidanza farmacologica).
Se oggi si considerano le serie la migliore immagine della realtà (percepita), suggerisco di raggelare con la finlandese Bordertown, in cui tra nuove agghiaccianti crudeltà ad ogni episodio, 31, c’è quella di una setta cristiana in cui le peccatrici (donne ovvio), tipo tentatrici di maschi indifesi e lesbiche fornicanti, vengono ritualmente punite con ogni atrocità. Insomma gira e rigira, le donne sono sempre un problema, ne risolvi uno e se ne presentano cento. Ma non è solo la comunità maschile più retriva a sognare se non proprio una teocrazia totalitaria tipo Galaad, almeno una dittatura della virilità in cui le donne per legge siano rinchiuse nell’armadietto delle scope e non possano rompere le scatole più di tanto. Ma anche le donne, come si sa per esperienza personale, non sono come la foresta di Birnam che compatta avanza contro Macbeth e lo sconfigge: infatti prima di arrivare al castello nemico hanno già litigato e si son fatte ogni tipo di dispetto e trappola. È più forte della predicata sorellanza, anche di quella delle menagramo Sorelle Fatali di Shakespeare. Da tempo ormai il famoso soffitto di cristallo si è incrinato, ci si è convinti che nessuno è come la Merkel, e altre posizione di potere europeo se non mondiale l’hanno raggiunto altre signore che pure non più giovinette come pretende l’estetica attuale, sono magre pettinate e ben vestite.
È molto bella e pure molto sexy la signora americana che il candidato democratico Biden ha scelto come sua vice e che con la sua presenza sta spettinando come un tifone inarrestabile il ciuffo giallo dell’iracondo Trump. Kamala Harris senatrice democratica, ha i 56 anni delle donne che oggi se ne occupano militarmente, cioè ha un’immagine di femmina divoratrice che piace sempre: a suo vantaggio o a suo danno (qui da noi gli scemi e le sceme stanno già dicendo e scrivendo scemate spiritosissime, soprattutto le signore): la sua ascesa è storica, è la prima donna di colore, la prima donna di origini asiatiche, la prima laureata di una università nera, nata negli Usa ma figlia di immigrati, a raggiungere una posizione così alta in politica: è descritta come cattivissima, implacabile, e anche se lei si dichiara femminista, le femministe americane, tanto per cambiare l’agire femmina, la detestano. In Italia mentre ci trastullavamo con l’inevitabile “prova costume” chiedendo punizioni esemplari per chi dice grassa a una signora e incitando la stessa ad essere contentissima della sua ciccia, il Covid 19 ci faceva affrontare chiuse in casa il multiruolo contemporaneo di impiegata, casalinga, mamma, con il problema di intrattenere pure il compagno immusonito. Poi appena possibile il compagno è corso fuori, a lavorare, ma si sa una mamma è una mamma, una casalinga è una casalinga sia astrofisica che cassiera al supermercato, e quindi… Però il Covid, forse, ha avuto anche un suo lato femminista causa interruzioni e precauzioni organizzative, e alla Mostra del cinema di Venezia, per la prima volta comunque in un festival ambosessi, dei diciotto film in concorso otto sono diretti da donne, almeno tre, dicono i Merlino del ramo, possibili leoni d’oro.
Immagini femminili agosto 2020. La signora Meloni per un secondo muta, trionfa sulla copertina di Novella 2000 con costumino da bagno tricolore: il settimanale è proprietà della signora Santanchè, senatrice di Fratelli d’Italia, di cui la spiaggiata è presidente. La signora Santanchè invade i social chiusa in una tutina verde mentre sculetta ballando con un suo dipendente, per protestare contro la chiusura delle discoteche. Lei furbona non chiuderà la sua, pur eliminando il ballo. Mah! C’è anche Svetlana Tikhanovskaya giovane oppositrice del dittatore Lukashenko che si dichiara pronta a guidare la Bielorussia dopo i risultati delle elezioni truccate, mentre le piazze di Minsk si riempiono di ragazze vestite di bianco e di rosso per protestare contro gli arresti e le torture dei loro uomini. Il nuovo potere delle donne senza sessismi, finalmente.