la Repubblica, 22 agosto 2020
Sulle tracce del bandito Grazianeddu
ORGOSOLO A un certo punto c’è stato un rumore, e non era una pecora spersa o una frana di sassi, su per questo Supramonte che profuma di amaro, erano voci basse portate dal vento. Alt, due in esplorazione. E dietro i cespugli del ginepro, metti che ci sia davvero il famoso bandito Graziano Mesina, latitante dal 2 luglio. Erano due turisti toscani, facevano il picnic con il panino e la frutta, la vista delle mitragliette li ha impietriti sul posto. Davanti a loro, due uomini giovani, allenati, tranquilli, con il basco rosso dei Cacciatori di Sardegna, un’unità speciale dell’Arma, vivono anche loro su questa montagna. Un tempo, i rotocalchi battezzarono Mesina il re del Supramonte, e gli mollavano milioni di lire per farsi intervistare, ma oggi lui non è qui. Chi lo cerca è sicuro, la sua non è una latitanza romantica, con il formaggio nel tascapane e il fucile in spalla. Non è in un ovile ma in una casa civile, non è in questo caldo rovente ma nell’aria condizionata. Forse ha pure la piscina, forse.
Al comando stazione dei carabinieri di Orgosolo ieri c’era un grande via vai. Militari in mimetica, appena rientrati dalla montagna, gli scarponi impolverati e molta sete, e un ufficiale dei tanti spiegava che l’operazione appena conclusa riguardava l’ennesima piantagione illegale di marijuana, perché qui cresce molto bene, il terreno è propizio e alcuni orgolesi l’hanno inserita tra i prodotti locali, assieme al miele nero e al mirto. E Mesina? Lo stesso ufficiale sudato indicava verso est e diceva «da qui a Mamoiada ci sono 15 chilometri di niente», e ci sono pure andati, setacciando tutto il setacciabile, crepacci, ovili, ruderi, canyon, grotte. Dal 1960 molte generazioni di carabinieri si dedicano allo sport della caccia a Mesina, se ti mandano in Sardegna prima o poi ti tocca di doverlo cercare. Negli anni, si è dato spesso latitante, dopo evasioni all’epoca celebri, dalle carceri di Macomer, Nuoro, Viterbo, Spoleto, Sassari, Lecce. È sempre tornato qui, con lo sguardo da vecchio lupo, ormai ha 78 anni ed è pelato, bolso e inquietante come il colonnello Kurtz di Apocalypse Now, e per quanto facesse il simpatico, qui sul corso Repubblica, tutti sapevano che l’uomo è certo anziano, ma l’indole è rimasta delinquente. Lo stesso percepivano i turisti, quelli che gli chiedevano tremanti il selfie, gli stessi che cercano le cartoline di Mesina come ricordo di Orgosolo, ma nessuno le ha. «E si fanno le foto davanti al cartello all’ingresso del paese, sforacchiato dai pallettoni», dice il sindaco Dionigi Deledda, «vorrei cambiarlo, tutti mi dicono di non farlo, i tour operator soprattutto». Folklore. Il mito del banditismo. La sede vecchia del municipio è restaurata molto bene, ma conserva il vecchio portone di ferro sparacchiato, «mi hanno persino chiesto se lo vendevo, ho detto no», dice Deledda. «L’anno scorso abbiamo avuto 150mila presenze, il turismo è una grande risorsa, la gente viene a vedere la collezione di murales», che in effetti sono bellissimi, e impegnati, parlano di donne, di guerre, di lotte per il lavoro e i diritti, di miniere, niente banditismo, doppiette, giacche di fustagno.
I turisti vanno al bar e negli agriturismi, e soprattutto fanno i trekking, anche per questo il Supramonte non è più un posto buono per nascondersi. «Vengono con i pullman, i camper, cercano la natura», dice Kikinu, artista e editore nonché proprietario di emporio di souvenir, che Mesina lo conosce da anni, e si stupisce, «stava così bene, aveva un po’ di soldi, le donne lo cercavano ancora», però c’era la sentenza della Cassazione, che lo avrebbe rimandato in carcere a Badu ‘e Carros. Trent’anni, l’ultima condanna. Associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di droga, così si è giocato tutto, compresa la grazia ricevuta nel 2004, la firmò il presidente Ciampi.
Perciò, è un personaggio ingombrante, come un vecchio mobile di casa «ma non di antiquariato», precisa il sindaco. La caccia a Mesina disturba gli orgolesi perbene, perché non lo cercano solo in montagna, e ancora il 13 agosto i carabinieri hanno ribaltato il paese, perquisizioni, abbaiare di cani, porte abbattute, erano sessanta uomini tra cui lo Squadrone eliportato dei Cacciatori, «e c’erano anche le nostre squadriglie», spiega il colonnello Franco Di Pietro, comandante provinciale di Nuoro, «che sono i nostri occhi e orecchie sul territorio, esistono solo in Sardegna e hanno radici antiche, negli anni in cui qui c’erano anche 15 sequestri di persona in contemporanea». Magari non incursori, rocciatori e tiratori scelti come i Cacciatori, ma conoscono tutti e sanno le storie di tutti, e di chi sono le case abbandonate, e dove stanno i pastori, «in una zona dove nessuno dimentica niente, e si parte dal furto di un agnello, e decenni dopo si arriva a un omicidio», spiega Di Pietro.
Così, un giorno si fa il rastrellamento, e data un’area, 80/100 uomini salgono e fermano tutti e controllano tutto, la mattina del 7 agosto hanno perquisito settanta tra ovili, casolari, aziende agricole, scandagliato i laghetti della zona, fermato molte persone. Un giorno si concentrano su Orgosolo, il che disturba gli abitanti non perbene, l’ann o scorso hanno trovato una tonnellata di marijuana pronta per la vendita, migliaia di pacchi nascosti tra garage abbandonati, vecchi depositi, case diroccate. Perciò Mesina non è forse la cosa più importante da trovare in questo momento, dato il volume di affari sporchi del posto. «La sua ricerca è un’attività come le altre, a Ferragosto abbiamo fatto i posti di blocco ma non certo per lui, ma per la folla di turisti che se ne andava in giro come impazzita, e non dimentichiamoci l’emergenza Covid, noi dobbiamo occuparci pure di questo», dice Di Pietro. Il suo territorio, questa provincia di Nuoro, è grande come la Liguria. Si stancherà, il vecchio Graziano che per anni si è venduto come il salvatore del bambino Farouk Kassam, e chiamò la Rai per fare lo scoop. E magari cercherà di trattare una resa in cambio dei domiciliari, persino la sua famiglia non è per niente contenta di tutto questo bailamme, il vecchio zio latitante, come una volta, ancora, e hanno già da pensare alla zia Peppedda, che non sta per niente bene.
Quindi, se si consegnasse tutti sarebbero contenti, anche i nuovi delinquenti locali che non vogliono i carabinieri in paese, che disturbano il business. A maggio hanno inaugurato la nuova caserma, il giorno dopo incendiano la macchina del maresciallo, davanti al cancello. Il Comune ha fatto un accordo con la Prefettura per mettere le telecamere, la ditta che le installa è disperata: «Le mettiamo su e ce le sparano», si vedono i segni sul muro, le telecamere penzolano morte, se le rimpiazzano moriranno di nuovo. «Ci sono alcune pecore nere», ammette Deledda, per restare nell’ambiente rurale e roccioso che è Orgosolo. Il paese è un osso duro. Da una parte i wine shop che attirano il turista del Nord, e la giovane Giovanna che affitta le audioguide sui murales: «Mesina? Storia, o preistoria. Io non ero neanche nata». Dall’altra i vecchi amici di Grazianeddu, vecchi anche di età, probabilmente debitori di debiti antichi. Uno di loro lo sta aiutando, certo. E poi ci sono quelli che hanno incendiato ettari di macchia alle ultime curve prima del paese, un diversivo forse, ora un paesaggio di alberi morti, la terra è tutta nera e si sente ancora il puzzo di bruciato e di migliaia di animali selvatici consumati dal fuoco. Ecco, questa è Orgosolo, una sua parte è ancora feroce, la pecora nera Mesina ci vive bene, ma è una pecora vecchia, e dà solo fastidio.