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 2020  agosto 22 Sabato calendario

L’accordo Serraj-Haftar in Libia

Non è un accordo di pace, ma è comunque il segnale del fatto che in Libia una trattativa politica si è rimessa in movimento. Ieri mattina, in contemporanea, il capo del consiglio presidenziale di Tripoli Fayez Serraj e il presidente del Parlamento di Tobruk Agila Saleh hanno annunciato un cessate-il-fuoco. Una dichiarazione negoziata a Ginevra dall’Onu e sostenuta con forza nelle ultime ore da Stati Uniti, Germania, Italia ed Egitto. I due leader rappresentano di fatto l’Est e l’Ovest del Paese: prevedono anche che entro marzo 2021 dovrebbero tenersi elezioni politiche e presidenziali, anche se dalle due dichiarazioni emergono ancora forti differenze sul percorso da seguire per stabilizzare la tregua e raggiungere un accordo politico. Serraj, presidente del governo riconosciuto dall’Onu, nel suo testo punta su qualcosa che Saleh non menziona. Innanzitutto, sostiene che il cessate-il-fuoco prevede la smilitarizzazione di Sirte e Jufra, occupate oggi da Haftar. E insiste nel sostenere che la tregua è preliminare alla riconquista del controllo di tutto il Paese da parte dell’autorità politica legittima, cioè la sua. Nell’aprile 2019 il generale ribelle Khalifa Haftar iniziava un assedio a Tripoli. Il fallimento di quell’offensiva militare, sanzionato con la ritirata in giugno della sua milizia e dei mercenari russi, ha portato in Cirenaica all’emersione della figura politica di Saleh. Era il debole capo del Parlamento libico “esiliato” a Tobruk nel 2014, per anni messo sotto “tutela” da Haftar e dalla sua milizia che controlla tutta la Cirenaica. Adesso è un moderato su cui punta anche l’Egitto. Il fatto che ieri sia stato proprio Saleh a parlare, immediatamente sostenuto dal presidente egiziano Abdel Fatah Al Sisi, è il segnale di un ridimensionamento di Haftar. Il generale in queste ore sarebbe negli Emirati, alleati più radicali fra i suoi sostenitori: quelli che vorrebbero guerra ad oltranza pur di cancellare il governo di Serraj e dei Fratelli musulmani. Haftar rimane un’incognita e sarà interessante ascoltare quello che verrà pronunciato nelle prossime ore da Abu Dhabi. Le parole del presidente egiziano, fino a ieri principale sponsor di Haftar, sono state indicative: «Accolgo con favore le dichiarazioni del Consiglio presidenziale libico e della Camera dei rappresentanti per un cessate-il-fuoco e la fine delle operazioni militari in tutto il territorio», ha scritto in un tweet. È la prima volta che parla di Consiglio presidenziale non come di una organizzazione terroristica. Altro tema delicato, quello della smilitarizzazione di Sirte e Jufra, due aree strategiche che la milizia di Haftar aveva occupato in primavera, con l’appoggio della Russia che a Jufra ha schierato cacciabombardieri Mig e Sukhoi. Sono due bastioni strategici per controllare la “mezzaluna petrolifera” a cavallo di Tripolitania e Cirenaica. Con la sua milizia a Sirte, Haftar è riuscito a rendere totale il blocco petrolifero deciso a gennaio. Ma negli ultimi tre giorni quel blocco stava iniziando a ritorcersi contro di lui. Lo stop aveva riempito i serbatoi dell’Est. Per non produrre più condensato, Haftar avrebbe dovuto fermare anche la produzione di gas che però serve ad alimentare le centrali elettriche. Si sarebbe arrivati al blocco totale della produzione elettrica. Un suicidio. Su questo hanno fatto leva i 4 attori internazionali che hanno spinto per mettere Haftar in un angolo: Onu (con l’inviata Stephanie Williams), Usa, Europa con i ministri tedesco Maas e italiano Di Maio. Tutti hanno premuto perché Saleh prendesse il coraggio a due mani e si rendesse autonomo. La partita è ancora molto lunga, ma per la prima volta da mesi qualcosa si muove anche nel campo della politica, non solo in quello delle armi.