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 2020  agosto 22 Sabato calendario

Il taglio dei parlamentari è giusto

Caro direttore, il suo intervento per invitare a votare No al referendum costituzionale mi dà l’opportunità di confrontarmi con lei, perché, al netto delle ragioni di ognuno, è giusto un dibattito più ampio e partecipato possibile. Comincio dal metodo. La riforma si ispira a un criterio nuovo: interventi puntuali che non mettono in discussione l’assetto costituzionale della Repubblica, ma si limitano a piccoli ritocchi, per consentire agli elettori di esprimersi su una singola questione e al dibattito politico di valutarne ogni implicazione, così da evitare che il referendum assuma carattere plebiscitario, come accaduto in passato. Quanto al merito, l’Assemblea Costituente decise un deputato ogni 80.000 cittadini e un senatore ogni 200.000. Dissentirono in molti, tra cui Einaudi, futuro Presidente della Repubblica, che sostenne che «quanto più è grande il numero dei componenti un’Assemblea, tanto più essa diventa incapace ad attendere all’opera legislativa che le è demandata». Con il passare del tempo, tuttavia, la generalità delle forze politiche si accorse che il numero dei parlamentari era divenuto inutilmente elevato, anche perché nel frattempo erano state istituite le assemblee legislative regionali e venivano eletti i parlamentari europei. Così, tutte le successive riforme hanno proposto una riduzione del numero dei parlamentari: dalle Commissioni Bozzi, De Mita-Iotti e D’Alema, alle proposte del centrodestra del 2006 e del centrosinistra del 2016, passando per la “Bozza Violante” e i “saggi di Napolitano”. Si trattava, è vero, di riforme vaste, ma non si vede il nesso tra il numero dei parlamentari e il resto, visto che la riduzione è stata considerata opportuna indipendentemente dalle soluzioni proposte. I costituzionalisti non sanno quale sia il numero di parlamentari giusto per garantire un sistema democratico e rappresentativo e per questo è necessario collocarci nel range delle democrazie consolidate con un numero di abitanti simile al nostro. Gli abitanti per ciascun parlamentare elettivo sono 117.000 in Germania e Francia, 102.000 nel Regno Unito (ovviamente non conto i Lord, di nomina regia). Oggi l’Italia ha un parlamentare elettivo ogni 64.000 abitanti, con la riforma si salirà a uno ogni 101.000. Per quanto riguarda la rappresentanza delle minoranze, a parità di sbarramento, accederanno alla Camera esattamente come oggi, certo ottenendo un terzo di seggi in meno, ma è la stessa riduzione che riguarderà i grandi partiti. Al Senato, nelle regioni poco popolose, le forze politiche minori avranno difficoltà a vincere seggi, ma gli altri saranno assegnati in circoscrizioni più grandi, nelle quali otterranno seggi anche i partiti piccoli. L’eccessiva grandezza dei collegi elettorali, che viene da lei denunciata, non dipende, poi, dal numero costituzionale dei parlamentari, ma dalla pessima legge elettorale vigente, che la maggioranza si è impegnata a cambiare. Infine, i delegati regionali per l’elezione del Capo dello Stato non c’entrano con la successione di Mattarella, perché la riforma sarà operativa dalla prossima legislatura, dopo l’elezione del nuovo Presidente. In ogni caso, il peso dei delegati regionali sul collegio elettorale passerebbe dal 5,8 all’8,8%, un incremento modesto, corrispondente all’accentuazione regionalistica impressa al nostro Paese dal 2001. Quanto all’operatività delle Camere, nessun intervento necessario è stato omesso. Certo, alcuni ritocchi ai Regolamenti delle Camere saranno opportuni ma c’è tutto il tempo per apportarli. La riforma non sarà affatto un salto nel buio, perché tutto il necessario è stato predisposto. Non sarà un successo dei populisti, perché accoglie proposte di Einaudi e Iotti. Non ci allontanerà dalle democrazie rappresentative occidentali, ma ci avvicina a Germania, Francia e Regno Unito. Consentirà, invece, un più efficace utilizzo del tempo parlamentare e riavvicinerà gli elettori agli eletti, accentuandone la visibilità e conseguentemente la responsabilità. Col referendum faremo solo un primo passo. Come ministro delle Riforme istituzionali assicuro il mio impegno affinché non sia l’ultimo.